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Sul principio di adeguatezza dell’operazione nell’attività di intermediazione finanziaria

SUL PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA DELL’OPERAZIONE NELL’ATTIVITA’ DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA

Con la sentenza n° 496 del 02.03.2017 la Corte d’Appello di Venezia accoglie l’appello proposto dalla Banca sul presupposto che sia sufficiente per l’intermediario – in punto di adeguatezza dell’operazione finanziaria – offrire la prova scritta dell’avvertimento al Cliente dell’inadeguatezza dell’investimento. La Corte ha applicato tale principio anche in un caso nel quale l’investimento riguardava il 50% del patrimonio in titoli ad alto rischio, quali quelli CIRIO,  e l’acquisto dei titoli, poi caduti in default, era stato consigliato ed eseguito dalla Banca in un arco temporale nel quale il dissesto finanziario della società emittente era già noto.

Si tratta di un’interpretazione discutibile, non soltanto nel caso particolare, nel quale il Cliente non era neppure un operatore qualificato (in realtà si trattava di due pensionati residenti in un piccolo Comune montano) ma anche in generale, perché viola non solo il principio di legge che permea l’adeguatezza dell’operazione, ma gli stessi dettami sul punto fatti propri dalla Suprema Corte con plurime sentenze.

Dalla ormai “antica” sentenza n° 18039 del 19.10.2012 all’ultima sentenza n° 17290 del 24.08.2016 prevale il principio secondo il quale, anche nel caso di interpretazione più rigorosa del principio di adeguatezza dell’operazione, laddove cioè si pensi sia sufficiente per liberare da responsabilità l’intermediario la prova scritta dell’avviso al Cliente sull’inadeguatezza dell’operazione, è sempre consentito al Cliente medesimo di introdurre in giudizio circostanze tali che impongano all’intermediario di fornire prova di avere comunque informato il Cliente sull’inadeguatezza dell’operazione, indipendentemente dalla mera prova scritta. E tali circostanze possono essere proprio la tempistica e l’entità dell’acquisto.

Laddove quindi il Cliente provi l’impiego della totalità o di gran parte del suo patrimonio in titoli ad alto rischio e/o che tale impiego è avvenuto in un arco temporale “sospetto”, in un tempo cioè in cui l’intermediario era nelle condizioni di conoscere o anche solo prevedere la possibile sofferenza dei titoli venduti, all’intermediario spetta fornire l’onere della prova anche di avere informato il Cliente di tali situazioni e di essersi adoperato per dissuadere l’investitore dal compiere le operazioni inadeguate.

Addirittura, per la sentenza n° 9892 del 13.05.2016, perfino nel caso in cui l’ordine di investimento sia voluto a tutti i costi dal Cliente, la responsabilità dell’intermediario non potrebbe escludersi.

Pare evidente quindi che sul caso deciso dalla Corte d’Appello di Venezia avrà modo di pronunciarsi la Suprema Corte.

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