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CONTRATTI ASSICURATIVI: LA MANCANZA DI SUNSET CLAUSE NON RENDE VESSATORIA LA CLAUSOLA CLAIMS MADE
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 6490 del 12.03.2024, ha fatto chiarezza sul tema dei contratti assicurativi e, in particolare, sulle clausole c.d. claims made, spesso oggetto di dibattito giurisprudenziale volto a delinearne la validità, e sulla relazione con la clausola c.d. sunset clause.
Con riferimento al caso concreto, la corte territoriale competente riteneva nulla una clausola claims made in ragione dell’eccessiva limitazione temporale che essa apportava alla copertura assicurativa, senza peraltro prevedere alcuna sunset clause riparativa, sostituendola quindi con una clausola di ultrattività reperita dal modello legale di claims made tipizzato dal legislatore. La Corte d’appello considerava infatti come, sebbene la clausola claims made sia da ritenere astrattamente valida, non vessatoria né immeritevole di tutela, il giudice è comunque e sempre tenuto a verificare se, in relazione alla fattispecie concreta, l’assicuratore abbia osservato gli obblighi di informazione previsti a tutela dell’assicurato, onde garantire l’equo contemperamento delle posizioni dei contraenti. La clausola claims made, non accompagnata dalla c.d. sunset clause, risultava priva dei requisiti minimi per soddisfare ogni esigenza di tutela.
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza in commento, ha stabilito come la mancata previsione di una sunset clause non rende di per sé nullo il contratto assicurativo con clausole claims made, spettando al giudice del merito verificare in concreto la conformazione del regolamento contrattuale al fine di stabilire se la combinazione tra copertura pregressa e periodo di ultrattività previsto, riguardata alla luce del rapporto tra rischio e premio, sia tale da svuotare di ogni ragion pratica il contratto.
Nello specifico, vagliando il significato delle due clausole, le clausole claims made, contenute all’interno dei contratti assicurativi per la responsabilità civile, permettono l’assicurazione anche in relazione ad eventi distanti nel tempo rispetto all’emergere di un effettivo danno. Tali clausole, letteralmente tradotte “a richiesta fatta”, vengono inserite per determinare la responsabilità civile di un soggetto nei confronti di terzi. I contratti di assicurazione, generalmente, fanno riferimento allo schema ex art. 1917 c.c., che predispone un tipico esempio di clausola “loss occurence”: la norma, infatti, dispone come l’assicuratore sia obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi deve pagare ad un terzo, in conseguenza di fatti accaduti durante il tempo dell’assicurazione. La differenza del modello tipico di schema assicurativo con quello “claims made” consiste proprio nella relazione temporale: nelle polizze claims made, infatti, il contraente è assicurato soltanto in relazione alle richieste di risarcimento che pervengano alla compagnia nel periodo di vigenza del contratto. La compagnia assicuratrice, quindi, non è tenuta a tenere indenne il contraente, nel caso in cui la richiesta risarcitoria pervenga in seguito alla scadenza del contratto assicurativo, e ciò anche nel caso in cui il danno si sia prodotto, effettivamente, durante la vigenza dello stesso.
In merito all’ammissibilità di tali clausole si è più volte espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza decisiva delle Sezioni Unite giunta nel 2018 (sentenza n. 22437/2018), che ha chiarito come le clausole claims made rappresentino una deroga consentita all’art. 1917 c.c., primo comma, in ossequio all’autonomia di cui godono le parti nella stipulazione dei contratti ai sensi dell’art. 1322 c.c. Risultano quindi astrattamente valide e meritevoli di tutela.
Le sunset clauses, diversamente, risultano essere accessorie alle prime, ponendo un limite: se richiesto, la compagnia assicurativa è obbligata, una volta scaduto il periodo di efficacia temporale della polizza, a consentire una estensione di copertura (ovviamente a fronte di un premio aggiuntivo) per le richieste di risarcimento riferibili a fatti generatori verificatisi durante la vigenza della polizza. Trattasi, quindi, di una clausola di ultrattività delle clausole claims made, che permette di equilibrare il rapporto contrattuale alle esigenze dell’assicurato.
Come definito dalla giurisprudenza della stessa Corte, in tema di clausole di ultrattività, la loro assenza ridurrebbe il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale vengono esclusi i danni causati dall’assicurato in prossimità della scadenza del contratto, risultando praticamente impossibile che la vittima di un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento immediatamente. La clausola, quindi, emerge proprio in ragione di tutelare l’assicurato da eventualità tali da rendere la clausola claims made, in concreto, vessatoria; quest’ultima, infatti, riducendo la copertura assicurativa da responsabilità civile al solo tempo della vigenza contrattuale, fa dipendere la prestazione dell’assicuratore non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile alla colpa dell’assicurato, ma altresì da un evento ulteriore, anch’esso futuro ed incerto: la richiesta di risarcimento.
Tuttavia, stante l’ormai consolidato principio che ritiene valide e meritevoli in astratto le clausole claims made, non è possibile legare l’eventuale nullità di queste alla mancanza di una sunset clause. L’ordinanza in commento, riportando alcuni precedenti, afferma chiaramente come si deve escludere che la mera mancata previsione di una sunset clause porti alla nullità per difetto di causa concreta; in particolare, deve tenersi conto come la prassi ha introdotto differenti tipi di modelli claims made, riportandoli anche secondo diverse accezioni di clausole di copertura, come le deeming clause o le citate sunset clause, che mostrano una “significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare.”
Compito del giudice di merito è, quindi, quello di verificare se la specifica conformazione della clausola, cioè la combinazione tra copertura pregressa e ultrattività annuale, riguardata alla luce del rapporto tra rischio e premio, svuoti il contratto di ogni ragione pratica, rilevando quindi uno squilibrio tra le prestazioni, senza che ciò possa essere dedotto dalla mera mancanza di previsione di una sunset clause.