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Parere
CRIPTOVALUTE, NATURA GIURIDICA DEL SERVIZIO DI CUSTODIA DEL PORTAFOGLIO DIGITALE E RESPONSABILITA’ DEL GESTORE DELLA PIATTAFORMA IN CASO DI AMMANCO
Si sta sviluppando negli ultimi anni un sistema digitale ed economico che include i servizi indispensabili ed accessori per il funzionamento delle criptovalute. Fra le attività di questo genere, offerte dai gestori delle piattaforme, spiccano per importanza lo scambio on line, inteso come acquisto e vendita ad un determinato tasso di cambio di una valuta virtuale con le valute reali, il trading on line, consistente nell’esecuzione di ordini di acquisto e vendita di criptovalute contro le valute ufficiali, con speculazioni sul differenziale, e la custodia del portafoglio digitale e di altri servizi di sicurezza finalizzati alla protezione della valuta virtuale o di chiavi crittografiche e codici di autenticazione delle transazioni.
Le attività di scambio e gestione implicano da parte del gestore la verifica e la convalida mediante l’applicazione di un algoritmo dei pagamenti eseguiti e l’effettività delle transazioni, mentre l’attività di custodia implica l’attivazione di portafogli digitali (c.d e-wallets). Quest’ultima attività di detenzione delle criptovalute è riconducibile ad un rapporto di custodia assimilabile al contratto di deposito, che avendo ad oggetto beni (digitali) – o moneta (virtuale) per chi riconduce la criptovaluta ad una vera e propria moneta (virtuale) – fa derivare un effetto traslativo a favore del depositario, rientrando, quindi, nella figura del deposito irregolare, disciplinata dall’art. 1782 del codice civile, norma ai sensi della quale il depositario è tenuto a restituire al depositante non lo stesso bene depositato ma, in quanto cose fungibili, l’equivalente.
Quindi nel caso di ammanco di criptovalute dal portafoglio digitale, bisogna distinguere se il depositario non è nelle condizioni di restituire al Cliente le criptovalute per fatto proprio (e allora si verserebbe nel tipico caso di responsabilità diretta) oppure per fatto imputabile al software, non riconducibile, a prima vista, al gestore della piattaforma, ma, ad esempio, all’attività dei miners. In questo caso il gestore della piattaforma potrebbe eccepire l’esistenza di un fatto ignoto tecnologico che ha reso l’evento dannoso della mancata restituzione delle criptovalute estraneo alla propria sfera di governabilità della prestazione, nonché imprevedibile ed inevitabile.
Non vi è dubbio che per rispondere a tale questione bisogna considerare il grado di sicurezza offerto dalla piattaforma. Se la piattaforma non effettua controlli approfonditi in relazione alla identità del registrante o non tiene traccia degli indirizzi IP utilizzati per la registrazione o per i successivi accessi od operazioni, oppure ancora se le criptovalute sono depositate in un portafoglio unico che non consente all’utente di gestirlo in proprio, oppure, ancora, se vi è mancanza di idempotenza nel caso di prelievo delle criptovalute, la piattaforma presenta un alto rischio nello scambio ed utilizzo delle criptovalute e nel loro deposito nei portafogli digitali. Da ciò discende la responsabilità del gestore della piattaforma, sia nella fase antecedente di privacy by design che in quella successiva di privacy by default, di cui all’art. 25 del nuovo regolamento europeo sulla privacy.