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Problematiche ancora aperte sulla questione del sequestro preventivo per equivalente in relazione ai concetti di prodotto, profitto e prezzo

PROBLEMATICHE ANCORA APERTE SULLA QUESTIONE DEL SEQUESTRO PREVENTIVO PER EQUIVALENTE IN RELAZIONE AI CONCETTI DI PRODOTTO, PROFITTO E PREZZO.

 

E’ affermazione pacificamente condivisa che nel codice penale e nelle disposizioni delle leggi speciali che prevedono varie ipotesi di confisca non si rinvenga una nozione generale di profitto, sebbene il concetto sia richiamato non solo al fine di individuare l’oggetto dell’ablazione, ma anche come elemento costitutivo di varie fattispecie di reato come circostanza aggravante.

Il termine in questione è proprio della legislazione interna ed è estraneo, semanticamente per quanto non concettualmente, alle fonti sovranazionali che negli ultimi decenni hanno fortemente contribuito all’introduzione nell’ordinamento e all’affinamento delle misure di contrasto alle attività criminali.

A titolo di esempio, la Convenzione OCS sulla corruzione del 1997 prevede, tra le sanzioni la confisca per equivalente dei “proventi” dell’attività corruttiva; la Convenzione Onu contro la criminalità organizzata del 2000 definisce quale “provento del reato” qualsiasi bene derivato od ottenuto, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato; la Convenzione contro la corruzione del 2009 dispone all’articolo 31 che ciascuno Stato si doti di misure per permettere la confisca dei “proventi” criminosi.

Analogamente, la decisione quadro 2005/212/GAI (Giustizia Affari Interni dei vari  Stati) relativa alla confisca di beni, strumenti e “proventi” di reato ha stabilito la confisca ordinaria e la confisca per equivalente in relazione a tutti i reati punibili con la reclusione superiore a un anno e la confisca totale o parziale (c.d. confisca estesa) dei beni detenuti da una persona condannata per uni dei gravi reati specificati, qualora esso sia stato “commesso nel quadro di un’organizzazione criminale”, senza necessità di stabilire un nesso tra i beni che si ritengono di provenienza illecita e uno specifico reato.

La legge delega 34/20308 per l’attuazione della richiamata direttiva U 2005/GAI ha altresì stabilito che “i proventi del reato” devono intendersi il prodotto e il prezzo del reato, nonché il profitto derivato direttamente o indirettamente dal reato o il suo impiego.

Va chiarito come secondo una linea interpretativa risalente e consolidata, riguardo al reato il prodotto rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita, il profitto è costituito dal lucro, cioè dal vantaggio economico che si ricava dalla commissione del reato e il prezzo rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato. Tale indirizzo si caratterizza per l’adesione a una concezione causale della confisca, considerato l’accento determinante posto nella definizione del profitto sulla derivazione causale del medesimo dal reato; peraltro, col termine profitto vanno ricompresi anche i cosiddetti ‘surrogati’, ovvero i beni derivanti da reinvestimento e le utilità connesse al reimpiego immediato. In definitiva, il profitto è costituito sia dai beni appresi per effetto diretto e immediato dell’illecito penale, sia ogni altra utilità che sia conseguenza anche indiretta e mediata dell’attività criminosa.

La qualificazione non particolarmente chiara, soprattutto a livello sovranazionale, della finalità ultima del reato di riciclaggio, cioè il conseguimento di un’utilità, porterebbe all’esclusiva confiscabilità per equivalente del lucro o vantaggio economico conseguito dall’agente, in esito alle operazioni di dissimulazione, sanzionate dall’art. 648bis del codice penale e questo sull’assunto per il quale il bene sostituito, trasferito o comunque oggetto di operazioni intese a ostacolare l’accertamento della sua provenienza costituisca profitto del delitto prodromico e non sia assoggettabile a confisca per valore, data l’impermeabilità della fattispecie in rapporto di derivazione ai principi del concorso di persone e la conseguente impossibilità di ravvisare un vincolo di solidarietà tra i responsabili delle stesse.

Viene, in tal modo, limitato l’oggetto della confisca al solo prezzo del reato, ossia l’utilità direttamente ricavabile dal riciclatore dell’operazione cosiddetta di ripulitura, tralasciando la nozione di profitto che nell’elaborazione giurisprudenziale è suscettibile di ricomprendere le trasformazioni e i reimpieghi derivanti dal prodotto originario ed escludendo così l’apprensione per equivalente del prodotto del reato, vale a dire quanto risulta dalle operazioni di trasferimento, sostituzione, camuffamento di beni a opera del riciclatore.

La confisca di valore ha una finalizzazione prevalentemente sanzionatoria e si configura come strumento surrogatorio, applicabile solo quando non sia possibile confisca diretta: la mancata corretta qualificazione dei beni da apprendere quale profitto in senso stretto, prodotto o prezzo del reato, porta a un utilizzo indifferenziato e a una sostanziale equiparazione delle categorie del profitto e prodotto. Quanto al termine sostanzialmente atecnico di provento, esso appare idoneo unicamente a una generica individuazione delle tipologie normative specificate all’articolo 648quater c.p.

L’assoluta eterogeneità dei casi di riciclaggio, avuto riguardo alla molteplicità dei delitti-fonte e alle modalità di camuffamento della provenienza del denaro o dei beni attuate nel concreto dovrebbe portare dottrina e giurisprudenza a un preliminare e corretto inquadramento dei beni astrattamente oggetto di vincolo in vista della confisca, non essendo convincente la convergenza delle ben differenziate tipologie normative nella nozione di profitto, tenuto conto del fatto che la peculiare struttura della fattispecie consente di ritenere che il denaro, i beni o altre utilità, ove sostituite, trasferite ovvero manipolate in modo da ostacolarne l’identificazione della provenienza, si prestano  a essere in ogni caso qualificate come prodotto del reato, rappresentando il risultato empirico dell’attività illecita.