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L’interesse del legittimario alla tutela della quota di riserva: la simulazione di una vendita effettuata in vita dal de cuius può essere provata per testi

L’INTERESSE DEL LEGITTIMARIO ALLA TUTELA DELLA QUOTA DI RISERVA: LA SIMULAZIONE DI UNA VENDITA EFFETTUATA IN VITA DAL DE CUIUS PUO’ ESSERE PROVATA PER TESTI

 

Nell’ambito dei poteri di cui è titolare, il Giudice del merito può prendere in esame un contratto asseritamente simulato in quanto esso può configurarsi, quoad probationis, in termini di “principio di prova scritta” e, come tale, sufficiente a rendere ammissibile la prova testimoniale fra le parti. Altrettanto legittimamente può venire posto, in concorso con altri elementi di prova, a fondamento del giudizio circa la sussistenza di una vicenda negoziale di carattere simulato. Relativamente a un contratto di compravendita, che si sostiene essere simulato, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa.

Nel primo caso, va anzitutto tenuto conto di quanto è ricompreso nell’articolo 2722 del codice civile, che stabilisce l’inammissibilità della prova per testi, quanto a patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, dei quali si sostenga la contemporaneità o anteriorità: in questo senso, pur rientrando tra i patti per i quali opera il divieto di cui sopra, l’accordo simulatorio non è ricompreso fra quelli – cfr. art. 2725 c.c. – per i quali è richiesta la forma scritta, e ciò in quanto ha natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato.

Nel secondo caso, se la domanda è proposta da creditori o terzi (i quali, come estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi eventuali controdichiarazioni scritte), la prova per testi o presunzioni non può subire alcun limite; viceversa, se è proposta dalle parti o dagli eredi, dato che la prova per testi è tesa a dimostrare l’esistenza di un negozio dissimulato, essa è ammessa solamente nell’ipotesi di cui al n. 3 del succitato articolo 2724 c.c., vale a dire quando il contraente, senza sua colpa, non dispone del documento ovvero nei casi in cui la prova è diretta a far valere l’illiceità del negozio.

La necessità del principio della prova scritta, al fine di ammettere quella testimoniale, si riferisce ai soli casi di azione ordinaria di simulazione, ossia di quella fatta valere da uno dei contraenti; valga lo stesso, analogamente, per l’erede che subentri nella medesima posizione del de cuius senza allegare la qualità di legittimario, onde ottenere l’accertamento dell’assenza di una volontà di trasferire beni che, quindi, solo in apparenza sono pervenuti al cessionario. Rispetto a questi ultimi, la disciplina della prova della simulazione ricade a pieno nella previsione di cui all’articolo 1417 del codice civile, che pone specifici limiti alla prova per testimoni a carico delle parti contraenti; ciò anche per l’ipotesi di simulazione assoluta, la quale oltre che a mezzo di produzione della controdichiarazione (atto in forma scritta) al più potrebbe essere fornita a mezzo di interrogatorio formale.

Si versa in tutt’altra situazione allorché la parte spenda la propria qualità di legittimario, interessato a tutelare la quota di riserva spettantegli. Costui, in quanto ‘terzo’ rispetto al contratto dissimulato, è invece ammesso a provare, per testi e presunzioni, la simulazione di una vendita fatta dal testatore, senza soggiacere ai limiti fissati dagli artt. 2721 e 2729 c.c.; a condizione, tuttavia, che la relativa simulazione sia fatta valere per un’esigenza coordinata con la tutela della quota di riserva tramite la riunione fittizia e questo senza che sia necessario anche l’esercizio dell’azione di riduzione. Sarà, pertanto, sufficiente che l’accertamento della simulazione sia preordinato all’inclusione del bene, oggetto della donazione dissimulata, nella massa di calcolo della legittima e, in tal modo, alla determinazione dell’eventuale riduzione delle porzioni dei coeredi concorrenti nella successione ab intestato. Tutto questo, in conformità a quanto dispone l’articolo 553 del codice civile, giacché solo in questa ipotesi l’erede, che attraverso l’azione ex art. 1414 c.c. miri a reintegrare la quota cui ritiene di avere diritto nella qualità di legittimario, si pone come ‘terzo’ rispetto all’atto impugnato e tuteli un diritto proprio che gli spetta per legge, in posizione antagonista rispetto al de cuius. 

In tali situazioni, non assume rilevanza alcuna la prescrizione contenuta nell’articolo 2724, n. 1 del codice civile, quanto alla necessaria sussistenza di un principio di prova scritta: essa, infatti, rileva solamente in caso di simulazione relativa ordinaria, esercitata da una delle parti del contratto simulato, ma non anche in ipotesi di azione simulatoria esercitata dal legittimario. Per tale ultima, opera il diverso regime probatorio richiamato dall’articolo 1417 c.c. che, in relazione a domande proposte dalle stesse parti quando facciano valere l’illiceità del contratto dissimulato oppure da terzi creditori, consente senza limiti di provare la simulazione attraverso testimoni.