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Valide le vendite di beni immobili gravati da usi civici per la Corte Costituzionale

VALIDE LE VENDITE DI BENI IMMOBILI GRAVATI DA USI CIVICI PER LA CORTE COSTITUZIONALE

 La Corte costituzionale si è recentemente trovata a discutere sulla questione dell’alienabilità dei beni gravati da uso civico, con particolare riferimento a un bene oggetto di procedura esecutiva. Attraverso la sentenza 119/2023, la Corte ha dichiarato incostituzionale l’art. 3, comma terzo, legge 168/2017, nella parte in cui non esclude che un bene di proprietà privata sottoposto ad usi civici non ancora liquidati debba soggiacere alla disciplina generale sugli usi civici, che ne sancisce l’inalienabilità. La sentenza si presta a una attenta analisi, che tenga conto della natura dell’uso civico e della disciplina che lo regola, soggetta a numerose modifiche nel corso dell’ultimo secolo. Di rilevante interesse, in particolare, il legame con la disciplina della proprietà.

 Gli usi civici rappresentano un antico diritto di godimento spettante a una determinata comunità, solitamente gravante su fondi rustici destinati alla coltivazione, alla caccia o al pascolo. Gli abitanti della collettività, in tal senso, acquistano il diritto di esercitare uti singuli et uti cives, sulle terre appartenenti alla collettività stessa, il godimento specifico a cui la terra è destinata. Al di là dell’origine storica del diritto, chiaramente rinvenibile nell’epoca feudale, quando risultava necessario tutelare il bene secondo le esigenze di vita e sopravvivenza della comunità, ciò che rileva è la ratio del diritto stesso, vale a dire quella di preservare i profili dell’ambiente e del paesaggio, salvaguardando la natura e le funzioni del fondo. A tal proposito, si inseriscono nella storia recente due diverse normative.

 La prima è la legge 1766 del 1927, che per prima ha introdotto determinate regole alla disciplina degli usi civici volte a eliminare i contrasti tra proprietari e lavoratori terrieri, superando gli ostacoli che l’evoluzione della società collettiva e feudale aveva implicitamente trascinato con sé. A tal fine, la legge introdusse la fondamentale differenza tra usi civici gravanti sulla proprietà privata, c.d. iura in re aliena, e usi civici appartenenti al demanio civico, c.d. iura in re propria. Solo questi ultimi venivano regolati: tra questi, poi, venivano classificati gli usi essenziali per la vita, come il diritto di pascolare, fare legname o carbone, e gli usi utili, vale a dire aventi prevalentemente scopo di industria e commercio. Tali beni, per la loro natura e per il loro contenuto, volto a sancire in capo ai singoli facoltà di godimento promiscuo, non suscettibili di divisione in ragione dell’appartenenza alla comunità, divenivano quindi inalienabili, indivisibili e inusucapibili. I beni di proprietà privata, invece, non subivano alcuna disciplina specifica.

 La seconda legge è la n. 168/2017, attraverso la quale il legislatore ha inteso apportare una disciplina definitiva, aggiornata con l’evoluzione della società odierna, agli usi civici. Permane, allora, il fine ultimo di garantire i profili dell’ambiente e del paesaggio a beneficio di interessi generali che non si sostanziano soltanto nel tempo presente, ma che volgono il loro sguardo anche alle generazioni future. Vengono quindi classificati i beni collettivi; tali beni, infine, vengono sottoposti al regime giuridico della inalienabilità, indivisibilità e inusucapibilità. La novità maggiore è relativa agli usi civici in re aliena: diversamente dalla legge 1766/1927, il legislatore li inserisce tra i domini collettivi, affrancandoli alla disciplina generale sugli usi civici.

 La questione portata all’attenzione della Corte, a questo punto, è relativa alla lettera d), comma primo, art. 3 della legge in descrizione, per la quale rientrano tra i beni collettivi anche le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti esercitano usi civici non ancora liquidati secondo la disciplina prevista dalla l. 1766/1927 cit. La criticità di tale definizione in orientamento ai principi costituzionali deriva dalla conseguenza giuridica dell’inserimento dei beni di proprietà privata, vale a dire la soggezione alla disciplina della inalienabilità. Per la prima volta, quindi, i beni soggetti a diritto di proprietà, pubblica o privata, vengono assimilati ai beni di dominio collettivo, condizionandone la circolazione. A livello costituzionale emerge chiaramente una contraddizione: in violazione della proprietà privata ex art. 42 Cost., viene delineato un sistema che impedisce alla proprietà stessa di circolare liberamente, secondo la volontà del titolare del diritto, limitandone l’assolutezza in ragione della prevalenza del vincolo ambientale imposto dall’uso civico non ancora liquidato. Il bene gravato da uso civico, di conseguenza, non potrà essere ceduto, né potrà essere acquistato a titolo originario tramite usucapione, né potrà essere oggetto di una procedura esecutiva al fine di soddisfare il ceto creditorio.

Non solo, quindi, viene apparentemente violato il diritto di proprietà; anche l’articolo 3 Cost., il principio di eguaglianza, subisce una censura, venendo trattate in modo eguale due situazioni giuridiche differenti. E infine, di riflesso, vengono condizionati anche i terzi creditori, impossibilitati a far valere le proprie ragioni di fronte alla presenza di un diritto di godimento da uso civico.

 L’intervento della Corte si fonda sulla interpretazione del diritto di proprietà e delle sue caratteristiche, con particolare riferimento ai diritti reali e alla ratio dell’uso civico.

 In particolare, vero è che risulta necessario coordinare l’interesse del proprietario con la presenza di un vincolo paesaggistico volto a salvaguardare l’ambiente, nel senso prima descritto; ma vero anche che la disciplina della proprietà privata e dei diritti reali di godimento detta una specifica serie di caratteristiche proprie dei diritti di godimento stessi, tali per cui risulta illegittimo, infine, ricondurre qualsiasi proprietà privata al regime della inalienabilità, anche in presenza di usi civici.

Secondo la Corte l’intento del legislatore, attraverso la l. 168/2017 cit., di plasmare la proprietà privata al fine di renderla coerente con la funzione sociale individuata dagli usi civici è comprensibile e corretto, ma non deve sfociare in profili di irragionevolezza, illogicità o incoerenza. Si deve infatti considerare come, nella fase che precede la liquidazione dell’uso civico, il vincolo paesaggistico preserva appieno la destinazione ambientale del territorio e tale circostanza non viene minimamente intaccata dalla possibilità che i beni circolino liberamente secondo le norme relative alla proprietà privata.

Il bene privato, infatti, può circolare anche se gravato da usi civici non ancora liquidati, e questo per due specifiche ragioni insiste nelle caratteristiche del diritto di proprietà stesso e in quelle degli usi civici.

 Innanzitutto, i diritti di usi civici in re aliena, pur non riconducibili a nessuno dei diritti reali di godimento come tipizzati dal legislatore, in virtù dei principi di tipicità e di numerus clausus, presentano i tratti propri della realità, vale a dire l’inerenza, il diritto di sequela, l’immediatezza e l’assolutezza. Se ne ricava un principio fondamentale: seguendo il fondo, gli usi civici saranno opponibili a chiunque ne divenga titolare.

 In secondo luogo, la proprietà privata gravata da usi civici reca con sé il vincolo paesaggistico e questo assicura che il proprietario non possa introdurre modificazioni tali da recare pregiudizio al vincolo ambientale e paesaggistico.

 La circolazione del bene, quindi, non incide sulla tutela dell’ambiente secondo la ratio degli usi civici. La natura del diritto stesso, gravante sul bene e capace di seguire il bene senza dipendere dal proprietario, impedisce a una alienazione di incidere sulla presenza di usi civici; questi permarranno comunque, seguendo il bene, fino all’eventuale liquidazione. Allo stesso modo, nel caso concreto esaminato dalla Corte, potranno essere sottoposti a procedura esecutiva, soddisfacendo le esigenze del ceto creditorio.

 L’art. 3, comma terzo, l. 168/2017, in contrasto con gli art. 3 e 42 della Costituzione, è quindi illegittimo nella parte in cui non esclude dal regime della inalienabilità le terre di proprietà dei privati, sulle quali i residenti esercitano usi civici non ancora liquidati.