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Archivio articoli
LA DOMANDA DI DEFINIZIONE AGEVOLATA PUO’ ESSERE PRESENTATA ANCHE DAVANTI AL GIUDICE TRIBUTARIO
Con la specifica finalità di dare una migliore e più efficiente definizione agevolata del contenzioso in materia di tributi, il legislatore interviene a incidere sui non sempre facili rapporti fra contribuenti e fisco, con particolare attenzione rivolta alla rottamazione delle cartelle, da cui rischiano di essere escluse quelle attinenti a controversie già risolte in maniera positiva in un grado di giudizio per il cittadino ricorrente.
In questo senso va interpretata la L. 197/02 che ha stabilito una nuova definizione agevolata davanti al Giudice tributario di quelle controversie in materia tributaria ancora in fase di pendenza, più nello specifico all’interno del comma 1, di non facilissimo esame, dal momento che consta di 900 commi e che proprio dal 185 al 205 in qualche modo agisce nel solco dei precedenti condoni, ricompresi nel DL 119/18 (art. 6), nel DL 50/17 (articolo 11) e nella L. 289/02 (art. 16). In modo particolare l’intento legislativo è stato quello di mantenere l’impostazione del DL 119/18, modellando l’importo che il contribuente è tenuto a versare sull’andamento della controversia. Scopo di tale disposizione di legge è evidentemente quello di indurre il cittadino a giungere a una definizione del contenzioso che lo riguarda, specie se in tutto o in parte abbia avuto un esito per lui positivo: specularmente, si avrebbe una sorta di disincentivazione ad appianare quelle liti che, avendo già ricevuto un esito negativo per il contribuente, potrebbero successivamente risolversi in un vantaggio per lo stesso. Restano fuori dalla nuova previsione legislativa altre tipologie di controversie tributarie che abbiano una qualche relazione con risorse dell’UE (un esempio per tutti: le questioni sui dazi doganali) e con l’Iva all’importazione, oltre ai contenziosi che concernono la procedura di confisca prevista dal Tuld – il trattato che attesta la libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione Europea, utilizzato nei casi in cui è necessario raggiungere paesi membri dell’UE che non fanno parte del territorio continentale dell’Unione – mentre sono sempre definibili le sanzioni eventualmente conseguenti (cfr. la Circolare dell’Agenzia Dogane e Monopoli del 14/2/23).
Sotto il profilo procedurale, la definizione del giudizio si perfeziona con il deposito della domanda di condono, che avviene tramite inoltro per via telematica presso le Agenzie: tale domanda deve allegare la specifica del pagamento dell’importo (o della prima tranche di una rateazione, quando si tratti di somme dovute superiori ai mille euro); resta la disposizione per cui nessun importo è dovuto in caso di sanzioni collegate al tributo, essendo necessaria e sufficiente la sola domanda.
Alla stregua della precedente definizione agevolata, non vi è sospensione del giudizio né al momento in cui entra in vigore la disciplina, né per adesione alla stessa da parte del contribuente: la sospensione ha luogo solamente all’atto della “richiesta” che il cittadino rivolga all’organo giurisdizionale competente. In tale frangente si entra in una fase detta di ‘quiescenza’, col ricorrente che beneficia di una sospensione legale che può aggiungersi a quelle già ricomprese sia nel processo tributario, sia dal codice di rito – sospensione per pregiudizialità su accordo delle parti.
Viene così posto con ancora maggiore evidenza il carattere sostanziale dell’essenza del provvedimento di condono, in quanto strettamente connesso all’esercizio, da parte del contribuente, di un vero e proprio diritto potestativo teso alla propulsione di un procedimento amministrativo.
Per quanto attiene all’aspetto più squisitamente giudiziario derivante dall’introduzione del condono, va osservato come, a differenza di quanto accadeva in passato (con non infrequenti sovrapposizioni di sospensioni temporali della procedura, che non di rado veniva definita tacitamente) la definizione attuale, agevolata, può essere immediatamente disposta dal giudice presso cui prende la controversia; dal momento del deposito della domanda, il giudicante può emettere un provvedimento che porti all’estinzione del giudizio sia con provvedimento monocratico, vale a dire un provvedimento di carattere presidenziale, sia con ordinanza collegiale (che costituisce una novità introdotta dalla prassi).
La decisione che porta all’estinzione della procedura, insita nel provvedimento giudiziale (in una delle due forme richiamate) concerne non solo i presupposti di natura processuale dell’avvio del procedimento di condono (ad esempio: il versamento della prima rata) ma si allarga anche alla effettiva sussistenza dei presupposti processuali di carattere sostanziale, come la legittimazione ad agire, l’esistenza di tributi agevolabili, i relativi importi e altro ancora. In questo senso, poiché la norma contenuta nel comma 198 dell’articolo 1 del DL succitato, di fatto anticipa la valutazione amministrativa in capo al giudice, sembra concretarsi una vera ed effettiva attuazione del principio della ragionevole durata del processo.
Non viene, però, accantonata la tradizionale definizione ‘amministrativa’, dal momento che rimane in capo alle Agenzie la facoltà di opporre diniego entro il termine del 31 luglio 2024. Al contribuente non rimarrebbe che proporre impugnazione entro il termine di 60 giorni dall’avvenuta comunicazione, al fine di evitare il consolidamento del provvedimento di diniego, impugnazione che ovviamente avrà carattere di pregiudizialità rispetto all’esame della controversia nel merito.
Potrebbe, peraltro, aversi una sorta di riviviscenza di un giudizio estinto: ciò accadrebbe in virtù del successivo provvedimento di diniego di condono. Per porre rimedio a una evidente stortura, il legislatore prevede che il ricorrente che abbia impugnato il diniego, possa poi impugnare il precedente decreto di estinzione di cui al comma 200 del succitato articolo 1, tramite un procedimento di revocazione straordinaria, avente carattere di diritto speciale, in quanto straordinaria già di per sé sarebbe la revocazione di provvedimento deciso dalla Suprema Corte di Cassazione.
Appare, pertanto, considerare una qualche forma di aggiustamento in punto di procedura, in vista dell’eventualità di trovarsi di fronte un caso alquanto singolare dell’impugnazione di un decreto di estinzione, proposta sì da una parte (il contribuente) che non è interessata alla sua impugnazione, ma che non di meno si rende necessaria al fine di evitare un possibile contrasto tra il provvedimento di estinzione, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di merito relativa al giudizio estinto e l’eventuale provvedimento di accoglimento dell’impugnazione stessa.