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Salvo il commercialista dal reato ex art. 2632 c.c. anche se sbaglia la valutazione dei principi contabili OIC

SALVO IL COMMERCIALISTA DAL REATO EX ART. 2632 C.C. ANCHE SE SBAGLIA LA VALUTAZIONE DEI PRINCIPI CONTABILI OIC 

Per il commercialista che ha redatto la perizia di stima per il caso di aumento di capitale di una società di capitali mediante conferimento di un ramo di azienda, il rilievo penale della stessa ex art. 2632 c.c. emerge solo in caso abbia avuto valenza causale rispetto al dissesto societario. Così la Corte di Cassazione in una recente sentenza all’esito di un procedimento penale per reati societari, fallimentari e tributari, connessi al fallimento di una s.r.l. Il principale capo di imputazione che attingeva i tre imputati (gli amministratori avevano precedentemente optato per una definizione tramite rito alternativo), concerneva due operazioni di aumento di capitale ritenute fittizie ed era qualificato nel reato di bancarotta ai sensi dell’art. 223, II n.1 Legge Fallimentare; assorbito a esso, altro capo relativo al reato p. e p. dall’articolo 2632 del codice civile.

La prima di queste operazioni aveva come oggetto un aumento di capitale da attuarsi, tra l’altro, mediante il conferimento di un ramo di azienda della stessa società destinata al dissesto. Secondo l’accusa, il conferimento era fittizio e dannoso poiché la s.r.l. era gravata da debiti a breve e brevissima scadenza. Al commercialista era perciò contestato l’aver avallato con la propria stima l’operazione di conferimento, tacendo ovvero non adeguatamente valutando l’entità dei debiti della s.r.l. e valorizzando oltre il dovuto un bene immateriale ricompreso nel ramo d’azienda consistente in un progetto, c.d. “progetto C”.

In accoglimento dell’appello della Procura avverso la sentenza di assoluzione in primo grado, la Corte d’Appello condannava tutti gli imputati. In modo particolare, al commercialista veniva ascritto il contributo alla causazione del dissesto societario tramite una perizia estimativa, qualificata come falsa, del ramo d’azienda conferito, il che a sua volta avrebbe portato a un fittizio aumento del capitale. In tale perizia non sarebbe stato adeguatamente valutato il valore effettivo del c.d “progetto C”, bene immateriale ricompreso nel ramo d’azienda conferito.

La falsità contestata al commercialista, consisteva, per la Corte d’Appello, nell’errata valutazione del c.d. “Progetto C’: da un lato, un errato utilizzo del criterio del costo storico, dovendosi in esso ricomprendere anche attrezzature deteriorate e parzialmente utilizzate in altre attività; dall’altro, non avere tenuto nel debito conto quelle che avrebbero dovuto essere le concrete prospettive di redditività del progetto.

La Cassazione, richiamandosi al principio contabile OIC (Organismo Italiano di Contabilità), fondazione di diritto privato, altrimenti riconosciuto dalla legge come ‘Istituto nazionale per i principi contabili’, avente funzione di emanare i principi contabili nazionali per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile, e, nel particolare, al Principio n. 24, che ha lo scopo di disciplinare i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione delle immobilizzazioni immateriali, oltre alle informazioni da presentare nella nota integrativa, boccia la tesi dei giudici dell’appello, affermando come il fatto che una stima sia stata giudicata scientificamente errata non significhi necessariamente che sia falsa, poiché  utilizzare coordinate di veridicità o falsità in relazione a un enunciato valutativo, dipende essenzialmente da quanto siano elastici e specifici i criteri di riferimento rispetto ai quali deve essere operato il giudizio di conformità al dato storico.

Il Principio OIC è volutamente elastico e secondo i Giudici di legittimità di ciò non è stato tenuto conto nella sentenza che ha condannato il commercialista a proposito della mancata valutazione integrativa di redditività, senza però che fossero indicati i criteri di valutazione applicabili. Quanto al nesso di causalità, Cassazione osserva come il dissesto sarebbe stato provocato non già dalla scarsa consistenza dei trasferimenti, bensì dalla loro insostenibilità economica, analisi questa che esula dal perimetro valutativo affidato allo stimatore, al quale può essere attribuita la responsabilità del reato ascritto solo se la sua specifica condotta abbia avuto valenza causale rispetto al dissesto, circostanza che i Giudici di secondo grado non hanno evidenziato, limitandosi ad individuare le cause del fallimento in un evento estraneo alla stima.

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna con rinvio ad altra Corte di Appello ritenendo opportuno, quanto alla posizione del commercialista, un nuovo esame della perizia, della valenza causale della sua condotta rispetto al fallimento e della possibile sua partecipazione dolosa alla complessiva attività posta in essere dagli amministratori, ferme comunque restando tutte le considerazioni a proposito dei criteri fondanti dell’OIC n. 24, cui i Giudici del rinvio dovranno attenersi.