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AGLI EREDI SPETTA IL RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO SE VI È COSCIENZA DELLA MORTE (FORMIDO MORTIS)
Attraverso l’esposizione della disciplina sul risarcimento del danno biologico la Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 16272/2023, ha negato la possibilità di riconoscere un danno di invalidità permanente in caso di morte a seguito di malattia: nel caso la morte non sopraggiunga immediatamente, infatti, agli eredi, iure hereditatis, sarà trasmissibile il risarcimento del danno biologico solo nella misura di invalidità temporanea. Contestualmente, in ogni caso, è fatta salva in capo agli eredi la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso il danno sia consistito nella c.d. formido mortis, vale a dire la coscienza della propria sorte e della morte imminente. Il caso riguardava una richiesta di risarcimento del danno iure hereditatis effettuata dai discendenti di una persona deceduta in seguito ad un coma di 271 giorni, provocato da un errore in fase di operazione medica.
Richiamando un importante precedente giurisprudenziale, Cass. n. 180567/2019, la Corte ha evidenziato innanzitutto come il danno alla salute che può patire la vittima da lesioni personali, la quale non deceda immediatamente ma solo dopo un periodo di tempo, possa consistere dal punto di vista medico-legale soltanto in una invalidità temporanea e mai in una invalidità permanente. La definizione di “invalidità”, infatti, designa uno stato di menomazione che può essere o temporaneo o permanente; il primo individua uno stato menomativo causato dalla malattia durante il decorso di questa, mentre il secondo designa quello stato menomativo che permane dopo la cessazione della malattia. L’esistenza di una malattia in atto e l’esistenza di un danno permanente sono due elementi tra di loro incompatibili: fino a che durerà la malattia, permarrà solo lo stato di invalidità temporanea; se la malattia guarisce con postumi permanenti, si avrà uno stato di invalidità permanente, ma non vi sarà più uno stato di invalidità temporanea; se, in seguito alla malattia, dovesse giungere la morte dell’ammalato, essa avrà causato solo un periodo di invalidità temporanea. Risulta quindi incompatibile la richiesta di un risarcimento del danno biologico permanente nel caso in cui, per causa della malattia, sopraggiunga la morte.
Con riferimento al danno biologico temporaneo, esso può essere definito come quel pregiudizio consistente nell’oggettiva perdita delle attività quotidiane. La scienza medico-legale individua un limite temporale ben preciso: al fine di acclararne l’esistenza sarà necessario che la lesione della salute si sia protratta per un tempo apprezzabile, individuato in un tempo superiore alle ventiquattro ore. Proprio a causa della oggettiva limitazione che il danno comporta, allora, una volta accertatane l’esistenza esso sarà risarcibile a prescindere dalla consapevolezza che la vittima ne abbia avuto. La Corte, riferendosi al caso di specie, giudica corretta la liquidazione del danno biologico temporaneo agli eredi della persona deceduta dopo un coma di 271 giorni: da un lato non rileva la consapevolezza della vittima di trovarsi in quello stato, dall’altro l’invalidità permanente, essendo sopraggiunta la morte, non ha fondamento giuridico.
L’eventuale consapevolezza in capo alla vittima del proprio stato di salute, e in particolare l’eventuale possibilità che la persona sia consapevole della propria sofferenza e del proprio destino, rileva invece sotto un altro aspetto, quello del danno non patrimoniale della c.d. formido mortis. La sofferenza provocata dalla situazione di coscienza, infatti, secondo la giurisprudenza è risarcibile e fonte di danno iure hereditatis nel caso di morte del soggetto.
Trattasi, in particolare, di una voce di danno morale puro spettante al defunto, che presuppone che questi percepisca la condizione in cui si trova; è necessario un minimo di coscienza, tale per cui si riesca a percepire la condizione di malattia in cui si versa, oltre all’eventuale sofferenza creata dalla paura della morte imminente. La giurisprudenza definisce questa sofferenza come multiforme, “secondo la purtroppo infinite combinazioni di dolore che il destino può riservare al genere umano.”
Al fine di configurare tale voce di danno, però, è necessaria una collaborazione specifica della scienza medico-legale, che deve essere in grado di fornire sufficienti risposte sulla condizione del paziente, ed è riservata al giudice di merito la scelta sull’eventuale liquidazione. Nel caso di specie, nello stato di coma in cui si trovava la vittima, non poteva configurarsi alcuno spazio di coscienza, per cui veniva negato il risarcimento agli eredi.
Questa la massima: «La persona ferita che non muoia immediatamente può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento del danno biologico temporaneo – che di regola sussiste solo per sopravvivenze superiori alle 24 ore e deve essere accertato senza riguardo alla circostanza se la vittima sia rimasta o meno cosciente – sia del danno non patrimoniale consistito nella “formido mortis”, che andrà verificato di caso in caso e che ricorrerà esclusivamente ove la vittima abbia avuto la consapevolezza della propria sorte e della morte imminente.»