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Risarcimento del danno patrimoniale da ridotta capacità lavorativa

RISARCIMENTO DEL DANNO PATRIMONIALE DA RIDOTTA CAPACITÀ LAVORATIVA GENERICA

Nel caso di incidente subito da persona non lavoratrice il criterio di valutazione del risarcimento del danno patrimoniale da ridotta capacità lavorativa generica è, secondo la Cassazione, quello del livello di istruzione.

Il tema è di particolare interesse, posto che la Corte Suprema, con l’ordinanza 35663/2023, si è trovata a dibattere circa la possibilità di inserire alla voce di danno patrimoniale quello da capacità lavorativa generica per un soggetto che, al momento dell’incidente, non produceva reddito. Secondo i Giudici di legittimità, nel caso di lesione della salute di rilevante entità deve considerarsi quale capacità reddituale quella fondata su un criterio logico di regolarità causale, che pone quale elemento cardine il livello di istruzione del soggetto leso. Nel caso risulti diminuita la capacità del danneggiato di produrre reddito mediante lo svolgimento di occupazioni consone al livello d’istruzione posseduto, allora i giudici di merito dovranno inserire la voce del danno patrimoniale nella condanna risarcitoria. Nel caso di specie, la Corte d’appello non aveva riconosciuto il danno da perdita della capacità lavorativa generica, né in termini di “appesantimento” del risarcimento tabellare del pregiudizio non patrimoniale, né sub specie di danno patrimoniale futuro, ad un giovane che aveva subito gravi lesioni in seguito ad incidente stradale.

La Corte, al fine di giungere a questa conclusione, ha innanzitutto evidenziato la differenza tra capacità lavorativa generica e capacità lavorativa specifica. Il danno di natura patrimoniale derivante dalla perdita di capacità lavorativa specifica, in particolar modo, riguarda l’aspetto concreto della vita lavorativa del danneggiato e richiede un giudizio prognostico sulla compromissione delle aspettative di lavoro in relazione alle attitudini specifiche della persona; la capacità lavorativa generica, diversamente, viene intesa quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto non percettore di reddito né in procinto di percepirlo. Quest’ultima tipologia di danno, in particolare, è configurabile solo ove non si superi la soglia del 30 per cento del danno biologico e va liquidato omnicomprensivamente come danno alla salute.

La differenza tra le due tipologie assume rilevanza, quindi, anche sotto il profilo della qualificazione giuridica: mentre la perdita da capacità di lavoro specifica rientra nella sfera di danno patrimoniale, il risarcimento da perdita generica non può che essere qualificato sotto il profilo del danno biologico e, quindi, del danno non patrimoniale.

La novità della decisione della Corte di Cassazione in commento consiste proprio nel qualificare il danno da perdita da lavoro generica anche sotto l’aspetto patrimoniale e non soltanto di danno biologico. Secondo i giudici di legittimità, qualora il danno alla persona risulti di rilevante entità, tanto da condizionare la futura carriera lavorativa del danneggiato, non potrà farsi riferimento al solo danno biologico soltanto perché il danneggiato, al momento dell’incidente, non produceva reddito; nel caso di specie, il giovane vittima dell’incidente meritava il risarcimento del danno patrimoniale anche se la capacità di lavoro era qualificabile in termini meramente generici, posto che la gravità della lesione gli avrebbe impedito in ogni caso di produrre determinato reddito in futuro.

Fulcro della voce risarcitoria, infatti, è la tutela della capacità lavorativa del danneggiato sia nel presente che con riferimento al futuro: compito del giudice di merito sarà accertare in quali termini la lesione subita da chi non lavora condizionerà la vita lavorativa futura non solo nella capacità di produrre un determinato reddito, ma anche nella mera possibilità di scelta di carriera che, proprio a causa del danno, potrebbe essere limitata o addirittura esclusa.

La capacità lavorativa di natura generica, quindi, pur dovendo essere risarcita in termini di danno biologico non patrimoniale, non potrà escludere un giudizio di merito anche con riferimento a profili di danno patrimoniale nel caso in cui la gravità della lesione sia tale da nuocere alla carriera lavorativa del soggetto, tenendo conto del livello di istruzione.

Questa la conclusione della Corte: “[…] se è esatto affermare che il danno derivante dalla lesione della capacità lavorativa generica – la sola che può venire in considerazione nel caso di specie, trattandosi di un sedicenne – deve essere risarcito in termini di danno biologico, eventualmente, come si è detto, con un appesantimento del punto, va tuttavia rimarcato che tale criterio non è sempre utilizzabile quando il danno alla salute supera una certa soglia. La giurisprudenza di questa Corte ha mostrato, in argomento, alcune oscillazioni, nel senso che non tutte le decisioni sono concordi nell’indicare quale sia la soglia superata la quale la lesione del bene salute comporti di per sé, inevitabilmente, anche un danno patrimoniale. E tuttavia pare evidente che un danno da invalidità permanente nella misura del 36 per cento, caratterizzato dai disturbi così chiaramente illustrati dalla Corte d’appello (difficoltà di deambulazione, zoppia, basculamento del bacino) e accompagnato da un livello di istruzione certamente non elevato, non potrà che tradursi, secondo la regola causale del più probabile che non, anche in una diminuzione della capacità di lavorare e, quindi, di produrre un reddito.”