Home   procedura penale   Ricettazione e riciclaggio da illeciti tributari: la “prova logica” e le nuove soglie di punibilità

Ricettazione e riciclaggio da illeciti tributari: la “prova logica” e le nuove soglie di punibilità

RICETTAZIONE E RICICLAGGIO DA ILLECITI TRIBUTARI: LA ‘PROVA LOGICA’ E LE NUOVE SOGLIE DI PUNIBILITA’

 

Nel richiamare la necessità di dare conto in maniera compiuta del presupposto indefettibile del delitto di ricettazione, va tenuto conto di un indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione o di riciclaggio, non vengono richiesti l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti quanto meno astrattamente configurabile, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti e interpretati.

Va tuttavia precisato che la possibilità di risalire per via logica al delitto presupposto – elemento fondante delle due fattispecie criminose di cui agli artt. 648 e 648bis c.p. – non esonera il Giudice dalla necessità di individuare la tipologia dell’illecito, origine del bene soggetto dell’attività di ricettazione; in questo senso, non possono essere sufficienti richiami a indici sintomatici privi di specificità in relazione alla disponibilità dei beni o delle somme di denaro suscettibili esclusivamente di provarne un ingiustificato possesso.

Ai fini della legittimità del sequestro di cose che si assumono pertinenti al reato di autoriciclaggio, benché non siano necessari una specifica individuazione e accertamento all’esito del giudizio del delitto presupposto, esso deve risultare, alla luce degli elementi acquisiti e scrutinati, quanto meno astrattamente configurabile e indicato con precisione; ciò non sembra darsi quando il Giudice si limiti a supporne l’esistenza, solo sulla base del carattere asseritamente sospetto delle operazioni relative ai beni e valori che si intende sottoporre a sequestro.

D’altronde, se l’esistenza del delitto presupposto può essere affermata anche in via logica, deve essere chiaro come tale affermazione è stata ribadita prevalentemente in sede cautelare (nel caso specifico: un sequestro probatorio), fase che, nella sua naturale e ovvia collocazione, ha corso all’origine del procedimento, quando le indagini vedono come unico elemento oggettivamente accertato proprio quello della ingiustificata disponibilità di denaro o altri beni, talora detenuti con modalità tali da consentire la supposizione della loro provenienza illecita solo da tale circostanza di fatto.

In simili situazioni, è il momento cosiddetto ‘procedimentale’ a giustificare e motivare il sequestro, in quanto per sua natura principalmente finalizzato a consentire l’approfondimento d’indagine utile a risalire all’origine del denaro o dei beni e, in definitiva, all’individuazione del delitto da cui eventualmente provengano, circostanza raramente chiara e autoevidente.

Qualora, per contro, si versi in uno stato del procedimento per il quale le indagini siano state completate e ci sia un rinvio a giudizio con una specifica imputazione che dia conto della illecita provenienza del denaro, è chiaro che il delitto presupposto è stato individuato, rappresentando un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, al punto tale che l’insufficienza della prova sul punto, dovrebbe portare all’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto.

Anche sulla scorta di rilevanti decisioni sovranazionali, quali la Convenzione di Strasburgo e quella del Consiglio d’Europa, il legislatore ha introdotto nel corso degli anni strumenti normativi specifici, inserendo nel codice penale il reato di autoriciclaggio e operando su fattispecie già esistenti come ad esempio la ricettazione, che con la L. 195/01 è stata estesa anche ai reati di natura contravvenzionale, mentre già dal 1993 era stata introdotta l’aggravante nel caso in cui il denaro o i beni ricettati provenissero fa delitti di rapina, estorsione e furto, tutti nelle fattispecie aggravate.

Da ultimo, con la già citata L. 195/21 la legislazione nazionale è nuovamente intervenuta sulla fattispecie del riciclaggio, estesa anche ai delitti ‘presupposti’ di natura colposa oltre che alle contravvenzioni.

In questo senso, non può più ritenersi indifferente (se non in quella cautelare, certamente nella fase processuale) l’individuazione della provenienza del denaro o dei beni di cui si intende occultare l’origine. In aggiunta a ciò, ulteriore elemento di cui tenere conto è quello attinente alla previsione di soglie di punibilità in relazione a taluni fatti suscettibili di fungere e operare come ‘presupposti’.

Esempio tipico è quello di un’asserita fattispecie illecita concernente i reati fiscali di cui al D.Lgs. 74/2000 ed è appena il caso di ribadire come la soglia di punibilità rientri tra gli elementi costitutivi della fattispecie, essendo da tempo chiarito come essa, di fatto, si traduca nel fissare una quota di rilevanza quantitativa o qualitativa del fatto tipico, con la conseguenza che, alla mancata integrazione di detta soglia corrisponda la convinzione del legislatore a proposito dell’assenza nella condotta ipotizzata di quella che viene chiamata sensibilità  penalistica del fatto, sicché un comportamento che si situi al di sotto della soglia va considerato non lesivo del bene giuridico tutelato.

E’ interessante rimanere sul piano dei reati fiscali, in quanto è pacifico e consolidato il principio per cui il momento consumativo dei reati fiscali ‘dichiarativi’ è quello della mancata, infedele o fraudolenta dichiarazione al momento della sua presentazione, per cui il delitto di riciclaggio non va configurato nelle attività di sostituzione di somme sottratte al pagamento delle imposte mediante delitti in materia di dichiarazione, se il termine di detta presentazione non sia ancora decorso e la stessa non è stata presentata.

Sulla base di tali considerazioni, resta da sciogliere il nodo concernente la possibilità di affermare la sostanziale ‘indifferenza’ del dato concernente la identificazione del delitto presupposto e delle sue componenti essenziali; se indubbia è la rilevanza della ‘prova logica’ o della non necessità di un loro autonomo accertamento giudiziale, d’altro canto va osservato come la stessa ‘prova logica’ debba avere a oggetto un fatto penalmente rilevante e sufficientemente identificato nella sua tipologia, posto che una cosa è la prova logica, che abbia a oggetto un delitto più o meno individuato, altro è la prova di una provenienza genericamente illecita e che, nel concreto, si risolve nella sua ‘ingiustificatezza’.