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LEGGE SPAZZACORROTTI: DAL MILLANTATO CREDITO AL TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE ATTRAVERSO L’IPOTESI DELLA TRUFFA
La normativa introdotta dalla L. 3/2019, altrimenti nota come “legge spazzacorrotti”, nel suo insieme ha portato fra l’altro all’abrogazione del reato previsto e punito dall’articolo 346 del codice penale, che sanzionava attività di millantato credito. Ciò ha portato a sollevare diverse questioni interpretative che hanno diviso dottrina e giurisprudenza, al punto da rendere necessario l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, al fine di risolvere la principale di dette problematiche, vale a dire la sussistenza o meno di una continuità normativa tra la norma abrogata e il dettato dell’articolo 346 bis del codice penale sul traffico di influenze illecite, riformato in parte dalla medesima legge.
L’indirizzo a favore della continuità normativa, tendenzialmente maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, osserva come la riforma legislativa del 2019, nell’intento di conformare la disciplina penale nazionale a quella comunitaria, avesse fatto in modo che il reato di traffico di influenze inglobasse la prescrizione delle condotte sanzionate in relazione al millantato credito. A parte alcune differenze, costituite dall’estensione della punibilità al soggetto che intende trarre vantaggi dalle influenze illecite – considerato, nella disciplina abrogata, soggetto danneggiato dal reato – e alla non chiara descrizione dei soggetti pubblici interessati, la modificata formulazione dell’articolo 346bis del codice penale punisce in sostanza le medesime condotte descritte dall’art. 346 del codice. Tale orientamento si basa sull’assunto secondo il quale il legislatore del 2019 ha inteso realizzate un fenomeno di “fusione, mediante incorporazione” di due disposizioni di legge, tramite la formale abrogazione della prima e la modifica del testo nella seconda. A supporto di tale tesi, si trova un passaggio della relazione introduttiva al disegno di legge nel quale i proponenti avevano espressamente chiarito come la finalità della riforma fosse stata quella di, in qualche modo, ‘fondere’ le due disposizioni (l’art. 346 e il precedente 346bis c.p.) in una nuova fattispecie incriminatrice contenuta nel secondo dei due articoli, modificato. In aggiunta a ciò, in tema di equipollenza semantica, l’espressione “vantando relazioni … asserite”, equivale a quella precedente che si riferiva a un credito millantato; in pratica, si tratta di un’equiparazione sul piano penale di una mera vanteria, avente come oggetto una particolare relazione con un pubblico ufficiale al fine di rappresentare un rapporto con lo stesso realmente esistente, da volgere a vantaggio del privato.
L’opposta tesi interpretativa nega l’ipotesi di successione delle leggi, dal momento che nell’articolo novellato non risulta compresa la condotta di colui il quale, tramite artifici e raggiri riceve o si fa dare (o promettere) denaro o diversa utilità, col pretesto di dover remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio. Emergerebbe così che, malgrado l’esplicita intenzione da parte del legislatore di mettere in atto una sorta di abrogatio sine abolitione, non sussista una esatta corrispondenza tra la fattispecie prevista dalla norma abrogata e quella riformulata nel nuovo articolo 346bis; il punto è che non è stato riproposto il termine pretesto che si trovava nella precedente ipotesi di reato, che attribuiva un carattere qualificante all’autonoma fattispecie del citato secondo comma dell’articolo 346 c.p. Nell’aderire a tale tesi interpretativa, le SS.UU. partono dal basilare principio secondo il quale l’intenzione del legislatore – così come descritta dall’art. 12 preleggi – non è che uno dei molteplici criteri per l’interpretazione di una legge e costituisce perciò un canone sussidiario e recessivo, rispetto all’interpretazione letterale che si fonda su un canone oggettivo, cioè espressivo del significato immanente della legge e non soggettivo, vale a dire incentrato sulla volontà del legislatore. Il principio letterale costituisce, in questo senso, una sorta di limite posto all’operatività di ogni altro criterio nell’analisi di un testo normativo, poiché nell’applicare una legge non si può attribuire a essa altro senso se non quello letterale, secondo la connessione delle parole tra loro; in altre parole, la volontà del legislatore va estratta dal testo, in quanto l’intenzione del legislatore non deve identificarsi con quella dell’organo o dell’ufficio che ha predisposto il testo, bensì deve essere ricercata nella volontà statuale, finalisticamente intesa. Il principio del criterio letterale rappresenta perciò il cardine del sistema interpretativo della legge e concorre alla sua definizione, in termini di tassatività, certezza e determinatezza.
Alla luce di questo ragionamento prodromico, in tema di successione delle leggi penali, perché sia applicabile il dettato dell’articolo 2, II° del codice penale (tema particolarmente attinente al caso in esame alle SS.UU.), occorre che il fatto costituente reato secondo la legge precedente sia tutt’ora punibile secondo la nuova normativa, laddove non sono più punibili, nel testo del secondo comma, i fatti rimasti fuori dal perimetro della nuova fattispecie. Pertanto, se l’intervento legislativo altera la fisionomia della fattispecie e quindi la figura del reato descritta, ci si trova in presenza di abolitio criminis; sotto questo profilo, la scelta del legislatore del 2019 di abrogare l’articolo 346 c.p., modificando l’art. 346bis ha comportato l’abrogazione con riferimento ai fatti di millantato credito “corruttivo”, passando da una fattispecie di illecito monosoggettivo (agente punito e soggetto raggirato come vittima) a plurisoggettivo, poiché vengono sanzionati i comportamenti di chi traffica le influenze e di chi intenda trarne vantaggi: ecco, dunque, la discontinuità normativa. Va, peraltro negata, concludono le Sezioni Unite, l’automatica riespansione applicativa del reato di truffa – art. 640 c.p. – laddove risulti che i fatti siano stati addebitati all’imputato e successivamente accertati in base alla disposizione prevista dall’articolo abrogato e siano risultate carenti la formale contestazione e un accertamento degli elementi qualificanti del reato di truffa; cioè a dire, non si ravvisano gli estremi di una continuità normativa che, ai sensi del comma II° dell’articolo 2 del codice penale, consentirebbe al giudice di riqualificare i fatti, attinenti a una fattispecie illecita abrogata, ai sensi di una norma generale preesistente e tornata a essere applicabile.
Ne consegue il principio in base al quale non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito ex art. 346, II° c.p. abrogato e il reato di traffico di influenze illecite così come sanzionate dal parzialmente rinnovato art. 346bis codice penale; sulla base di ciò, le condotte sanzionate dalla norma non più in vigore potevano e tutt’ora possono integrare gli estremi del reato di truffa – che nel passato poteva concorrere con millantato credito – purché siano formalmente contestati e accertati tutti gli elementi costitutivi della relativa, diversa fattispecie incriminatrice.