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Opposizione a decreto ingiuntivo e domande del creditore opposto

OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO E DOMANDE DEL CREDITORE OPPOSTO

Nell’ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per l’effetto di una domanda riconvenzionale formulata dall’opponente, si venga a trovare a sua volta nella posizione di convenuto, essendo così richiamati gli articoli 1337 e 2041 del codice civile che qualificano come inammissibili le domande non conseguenti a una riconvenzionale proposta dalle parti convenute sostanziali.

La rimessione alle Sezioni Unite si riporta a quella che viene definita “rimeditazione” nella più recente giurisprudenza di legittimità, con la quale si è riconosciuta la possibilità di modificare, nella memoria di cui all’art. 183 c.p.c. la domanda ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’intervenuto effetto traslativo, dichiarando che la modificazione della domanda consentita dall’art. 183 può riguardare uno solo o anche entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), purché la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio.

Tale ‘rimeditazione’ si fonda sostanzialmente su tre ragioni; la prima attiene al fatto che l’art. 183 c.p.c. non prevede un esplicito divieto di domande ‘nuove’ comparabile con quello di cui all’articolo 345 c.p.c.; la seconda esamina il tenore letterale dell’articolo 189 c.p.c. per il quale quando la causa viene rimessa al collegio, il G.I. invita le parti a precisare le conclusioni nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’articolo 183 c.p.c.; infine, l’essenza delle modificazioni consentite dall’art. 183 non è ravvisabile nella loro impossibilità di incidere sugli elementi identificativi della originaria domanda, bensì nella sua sostituzione da parte delle domande modificate, che ne costituiscono l’alternativa.

In merito al principio per il quale la modificazione consentita dall’art. 183 possa investire entrambi gli elementi identificativi della domanda, una recente pronuncia (sez. I, n. 9633/22) lo ha ritenuto applicabile anche al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, nel senso che il convenuto opposto può proporre una domanda nuova, diversa da quella su cui è fondato il decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione in via riconvenzionale, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda dedotta in giudizio e risponda a finalità di economia processuale e ragionevole durata del processo: in pratica, all’opposto è consentito di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconvenzionale riconosciute all’attore nel giudizio ordinario.

Secondo le Sezioni Unite da tempo si è fatta strada l’esigenza di realizzare, ai fini di una maggiore economia processuale e una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi al medesimo giudice delle controversie aventi a oggetto la stessa vicenda processuale. Se nel giudizio di cognizione ordinaria può aversi una certa elasticità superiore rispetto al dettato formale senza deteriorare le posizioni delle parti in causa che rimangono in condizione di modalità paritaria, si è fatta avanti l’esigenza di parificare allo strumento ordinario quello maggiormente efficace – e, dunque, di più frequente utilizzo – per il recupero dei (presunti) crediti. Il decreto ingiuntivo, nei fatti, è uno strumento acceleratorio, proveniente da una potenziata valenza giuridica degli elementi probatori allegati al ricorso i quali, se non costituenti prova legale, le sono assai prossimi in virtù della natura diretta/automatica semplificazione propria dell’istituto, anche in ragione del fatto che il decreto ingiuntivo è, per così dire, abilitato a generare un giudizio ordinario di cognizione.

Il punto focale è rappresentato dall’articolo 645 del codice di procedura civile che, in sostanza, è una specie di ‘ponte’ tra un istituto inaudita altera parte e il contraddittorio, cioè il vero e proprio processo. Nel corso degli anni tale norma ha subito una varia serie di modifiche, culminata con una fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite del 2022 che, richiamando una linea interpretativa di qualche anno precedente, affermava come il procedimento di opposizione a seguito di decreto ingiuntivo abbia natura di giudizio di piena cognizione, devoluto al giudice della opposizione al quale spetta il compito di esaminare il rapporto giuridico nel suo complesso e non, quindi, un semplice controllo sulla legittimità della pronuncia sulla richiesta dell’ingiunzione, di cui costituisce logico sviluppo.

Abbiamo così un giudizio ordinario nel quale il soggetto che si è avvalso dello strumento monitorio, nel conseguente procedimento ordinario in opposizione al provvedimento ottenuto, riveste poi processualmente il ruolo di convenuto che, però, sostanzialmente lo vede come attore.

Trovandosi investite dal quesito a proposito del fatto se, svincolato nelle sue potenzialità difensive da una pura domanda riconvenzionale, l’opposto possa in qualche modo fare di più, cioè proporre una domanda ‘modificata’, senza quindi che la domanda monitoria introdotta in qualche modo restringa il suo raggio di azione, le Sezioni Unite stabiliscono, in base a un nuovo percorso ermeneutico il principio per il quale al convenuto opposto viene riconosciuta la facoltà di integrare il thema decidendum, nella comparsa di costituzione e risposta, depositando una domanda nuova, diversa da quella opposta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto a sua volta una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni, chiedendo la revoca del provvedimento monitorio; ciò a condizione che la domanda si riferisca alla medesima vicenda giudiziaria, anche nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo.

In tal senso, viene riconosciuto all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle medesime facoltà di modifica della domanda che nel giudizio ordinario sono riconosciute all’attore formale e sostanziale dall’art. 183 cpc.