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IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER USO DI GLIFOSATI
Di recente una nota multinazionale farmaceutica è stata condannata negli USA al pagamento di un miliardo e mezzo di dollari a titolo di risarcimento del danno per uso di glifosati, prodotti che sono alla base di uno degli erbicida più utilizzati nel mondo. La sentenza dei giudici americani apre le porte a numerose considerazioni giuridiche anche per quanto riguarda gli ordinamenti europei, soprattutto alla luce della recente decisione della Commissione europea che autorizza sia la produzione che il commercio degli erbicidi a base di glifosati, scontrandosi sia con il parere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che già a partire dal 2015 definiva le potenzialità cancerogene dei glifosati attraverso l’allegazione di numerosi studi scientifici, sia con le proteste ambientaliste, che ne evidenziano la pericolosità a livello ambientale oltre che fisico.
Viene da chiedersi, allora, quali potrebbero essere le possibili conseguenze a livello giuridico e risarcitorio all’interno dei confini italiani, ove il risarcimento del danno per l’esposizione a sostanze cancerogene assume, nel nostro ordinamento, i contorni del danno biologico, vale a dire la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, e appartiene alla categoria di danno non patrimoniale.
Il contesto risarcitorio in questione si pone nel rapporto produttore-consumatore, allorquando all’utilizzazione di un prodotto intrinsecamente difettoso consegua il sorgere di una patologia. L’articolo 117 del Codice del Consumo definisce il prodotto difettoso come quel prodotto che non offre la sicurezza che il consumatore può legittimamente attendersi in relazione ad una pluralità di elementi, tra cui le avvertenze fornite dal produttore. Il concetto stesso di “prodotto sicuro” è quindi strettamente connesso alla presenza o meno di istruzioni o avvertenze, che permettano al consumatore di conoscere i rischi dei prodotti utilizzati. Sul produttore grava, inoltre, l’obbligo di una costante opera di monitoraggio e adeguamento delle informazioni commerciali, allo scopo di eliminare o ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi.
Nel caso il prodotto, per le sue intrinseche caratteristiche, arrechi un pregiudizio alla salute del consumatore, in capo al produttore non sarà configurabile soltanto una responsabilità contrattuale da inadempimento, ma anche una responsabilità extracontrattuale per la lesione di un diritto assoluto come quello alla salute, sanzionabile attraverso una previsione di risarcimento del danno non patrimoniale appartenente alla voce del danno biologico.
Dal punto di vista processuale, la responsabilità del prodotto difettoso ha natura presunta e non oggettiva, prescindendo dall’accertamento della colpevolezza del produttore e fondandosi sulla prova del difetto del prodotto, a cui dovrà essere causalmente connesso il danno (Cass. Civ. n. 29828/2018). Sarà allora onere del danneggiato provare difetto e danno; spetterà al produttore la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto: a) non esisteva al momento della messa in circolazione del prodotto; b) non era conoscibile in base allo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche.
Segnalando una interessante pronuncia della Cassazione (n. 12225/2021) sul tema della responsabilità del produttore per difetti del farmaco, nel caso sorga una rara patologia in seguito all’assunzione, la Corte ha stabilito come la prova di aver fornito, tramite il foglietto illustrativo, una mera avvertenza generica circa la non sicurezza del prodotto, non è sufficiente ad escludere la responsabilità del produttore di farmaci, essendo necessaria un’avvertenza idonea a consentire al consumatore di effettuare una corretta valutazione dei rischi e dei benefici, nonché di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l’insorgenza del danno e pertanto di esporsi al rischio consapevolmente.
Il compito del produttore, alla luce della giurisprudenza sui difetti dei prodotti e, in particolare, dei farmaci, risulta essere quindi fondamentale non solo nella fase della produzione, ma anche, e forse soprattutto, nella fase successiva, quella in cui avviene l’utilizzo da parte del consumatore. La pericolosità dell’assunzione di sostanze chimiche dannose per l’essere umano impone un controllo costante da parte del produttore, attento non solo a seguire da vicino gli studi scientifici in materia, ma anche a informare con continui accorgimenti dei cambiamenti della scienza, dovendo essere pronti a ritirare il prodotto, modificarlo o, quantomeno, modificarne gli avvertimenti al fine di consentire al consumatore, essere umano medio privo di conoscenze tecniche, di assumere il rischio consapevolmente e volontariamente. Al contrario, sarà palese una violazione degli obblighi di legge e il sorgere della responsabilità, con conseguente possibilità di condanna al risarcimento dei danni.
Il contesto in cui è stata autorizzata la commercializzazione di glifosati sembra però allentare l’eventuale indice di responsabilità delle ditte produttrici, a differenza di quanto avvenuto su suolo americano. Sarà sicuramente interessante scoprire quali saranno, se ci saranno, le prime pronunce risarcitorie in merito, ma ciò che è sicuro è che l’autorizzazione da parte della Commissione, fondata sul parere dell’Efsa, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, che ha affermato di non aver individuato rischi per gli esseri umani, gli animali o l’ambiente tali da impedire l’autorizzazione dell’erbicida, apparentemente solleva da responsabilità il produttore, che potrebbe allegare in sua difesa il nulla osta ricevuto a livello europeo. Ma se a livello formale arriva una autorizzazione, nella sostanza si individuano parecchie incertezze: innanzitutto diversi Stati Membri hanno votato contro all’utilizzo di glifosati, invocando la necessità di una strada alternativa; in secondo luogo, la motivazione principale all’utilizzo di glifosati è stata quella della mancanza di alternative, più che di sicurezza del prodotto; infine, la stessa Efsa ha affermato che pur non bocciando l’uso di glifosati, non possono esserci certezze sulla sicurezza del suo utilizzo.
La parola d’ordine a livello europeo è, quindi, libertà: libertà di produzioni a base di glifosato, libertà per i diversi Stati Membri di consentire il commercio del prodotto. Alla libertà, al tempo stesso, non potrà che seguire uno stringente controllo da parte di tutti, in primis del produttore, al fine di evitare la stessa sorte giuridica occorsa negli Stati Uniti.