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Diritto all’oblio e danni non patrimoniali: l’editore e il motore di ricerca pagano

DIRITTO ALL’OBLIO E DANNI NON PATRIMONIALI: L’EDITORE E IL MOTORE DI RICERCA PAGANO

Il diritto all’oblio consiste nel non rimanere esposti senza limiti di tempo a una rappresentazione non più attuale della propria persona, con pregiudizio alla riservatezza e alla reputazione. Le Sezioni Unite della Cassazione sono a tale proposito intervenute con sentenza n. 19681/2019, stabilendo il principio secondo il quale la menzione degli elementi identificativi di persone protagoniste di fatti e vicende del passato è lecita solamente nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà, sia per l’eventuale ruolo politico rivestito.

Sulla scorta di tale principio di legge, la sezione prima civile della Suprema Corte ha emesso nel corso degli ultimi tre anni una serie di ordinanze culminate con la pronuncia del 31/1/2023, n. 2893 relativa a un procedimento nel quale un professionista, un assessore ai lavori pubblici e un funzionario comunale, già indagati, destinatari di misure restrittive della libertà personale, successivamente processati per reati contro la pubblica amministrazione e infine assolti con sentenza divenuta irrevocabile, hanno agito in giudizio nei confronti dell’editore di un quotidiano nel cui archivio on line erano ancora presenti non solo i loro nomi ma anche l’associazione ai fatti per cui erano stati processati, senza alcun riferimento all’esito assolutorio delle rispettive posizioni, ciò che costituiva una grave lesione della loro onorabilità e della loro stessa attività lavorativa.

Se l’archivio storico di un quotidiano ha la funzione di conservare esattamente la memoria degli articoli pubblicati, in ossequio al duplice rilievo costituzionale, in quanto strumentale alla ricerca storica ed espressione del correlato diritto (art. 33 Cost.) e come espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost.), l’operatività di un motore di ricerca nell’ambiente internet che, tramite collegamento con le generalità di una persona, permette con estrema facilità di reperire in rete, anche molti anni dopo, la traccia di eventuali notizie e articoli, è solamente un mezzo tecnologico per ottenere la ricerca e il reperimento di questo o quell’articolo già pubblicato in passato.

L’offesa recata al singolo non appare sostanziarsi tanto nella mera permanenza in rete della notizia, quanto piuttosto nelle modalità con le quali ciò avviene. In questo senso, il diritto all’oblio assume rilievo in ragione dell’accesso generalizzato e indistinto ai contenuti di una notizia consentito agli utenti del web, il che porta la riemersione senza limiti di tempo di un’informazione all’esito della consultazione di un motore di ricerca avviata tramite la digitazione sulla relativa query, operazione con la quale il gestore del sistema include nel proprio database i contenuti di un sito web che viene poi acquisito e tradotto al proprio interno.

Nella sentenza oggetto di ricorso i giudici di merito avevano riconosciuto ai ricorrenti il diritto all’attivazione della procedura di deindicizzazione dai motori di ricerca. Respingevano invece sia la principale richiesta di cancellazione tout court degli articoli in questione dall’archivio on line della testata, sia quella subordinata di alterazione manipolativa dell’archivio, osservando come tali istanze ipotizzavano una sorta di iperprotezione dei diritti alla riservatezza, che di fatto avrebbe annullato la funzione di memoria storica e documentale insita nella conservazione di quanto pubblicato da una testata, oggetto anch’esso di rilevante interesse pubblico tutelato sotto il profilo costituzionale.

Cassazione confermava i tre punti decisionali della sentenza, ritenendo più consono al bilanciamento dei diritti disporre la deindicizzazione, vale a dire evitare che il nome di una persona sia associato dal motore di ricerca ai fatti di cui internet continua a conservare memoria, in tal modo assecondando il diritto personale a non essere trovati facilmente in rete.

In modo particolare, viene sottolineato come non sia richiesto al gestore dell’archivio di attivarsi in via generale per l’aggiornamento delle informazioni alla luce degli sviluppi giudiziari successivi ai fatti, ma solo di corrispondere senza ritardo a puntuali e specifiche richieste da parte degli interessati, debitamente suffragate, non solo con la procedura di deindicizzazione, ma anche con l’apposizione di un aggiornamento in merito alla conclusione della vicenda giudiziaria coperta da irrevocabilità, in calce o a margine della pagina ove figura l’articolo.

Considerando che la lesione in questione attiene ad un diritto fondamentale dell’individuo, ne seguirà il possibile risarcimento del danno non patrimoniale sia a carico dell’editore che del motore di ricerca, da quantificare ad opera del Giudice secondo equità, come già stabilito dalla Suprema Corte in linea generale.  Il risarcimento del danno pare essere lo strumento solo realmente efficace per rispondere alle esigenze di responsabilità sancite anche dal nuovo Regolamento privacy: dovrà essere quantificata la sofferenza psichica causata dalla lesione della reputazione personale e professionale, il contesto in cui le dichiarazioni sono state rese, la gravità del fatto nel contesto sociale di riferimento, il rilievo sociale del soggetto ed, infine, la diffusione delle dichiarazioni offensive.