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CRAM DOWN E ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEBITI
Una recente pronuncia del Tribunale di Milano, Sezione Fallimentare, ha fatto luce sulla questione del cram down relativa all’accordo di ristrutturazione del debito, assumendo a riguardo una decisa posizione.
L’istituto del cram down, in particolare, si riferisce alla possibilità per i tribunali di omologare comunque la proposta di accordo di ristrutturazione debiti presentata dall’imprenditore, nei casi in cui manchi l’adesione degli enti fiscali e previdenziali, quali Fisco e Inps. La più recente normativa a riguardo, introdotta nel periodo dell’emergenza Covid-19 attraverso il d.l. 125 del 7 ottobre 2020 (convertito in seguito dalla legge 159/2020), sancisce come, in considerazione della situazione di crisi economica per le imprese determinata proprio dalla pandemia, il tribunale possa omologare l’accordo «anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori in forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.» (Così è stato implementato l’articolo 182-bis, comma quarto, l.f.)
La ratio della norma, quindi, è aiutare l’imprenditore in crisi nel caso in cui venga intrapresa la strada dell’accordo di ristrutturazione del debito, che si ricorda essere un mezzo di risanamento a cui l’impresa in crisi ricorre per tentare di ridurre l’esposizione debitoria, assicurando così il riequilibrio della situazione finanziaria. Affinché l’accordo possa avere seguito, questo deve essere stipulato dal 60% dei creditori, intesi sui crediti (e quindi per somma) e non sui singoli creditori (e quindi per teste). Spesso, quindi, capita che la maggioranza dipenda proprio dagli enti previdenziali e fiscali, che costituiscono la gran parte del ceto creditorio.
Il Tribunale di Milano, nella sentenza sopra citata, ha preso una posizione netta, applicando pedissequamente tale disciplina. Il caso di specie vedeva una proposta di accordo dell’imprenditore presentata di fronte al Tribunale per ottenere l’omologazione, nel quale mancava però l’adesione degli enti di cui all’articolo 182-bis l.f., che rivestivano un “peso” specifico necessario per raggiungere la quota prevista del 60%. L’interpellato Collegio ha quindi cercato di verificare la sussistenza dei requisiti previsti per l’applicazione della norma, vale a dire, oltre al “peso” dei crediti fiscali e previdenziali decisivo per il raggiungimento della quota, una prospettiva di soddisfacimento prevista dall’accordo di ristrutturazione più conveniente rispetto a quella ottenibile nell’alternativo scenario liquidatorio.
Il Tribunale ha quindi eseguito un giudizio prognostico, basandosi in particolar modo sulla relazione di un professionista, così come previsto dalla stessa normativa fallimentare. L’obiettivo era comprendere se, alla luce dell’accordo così come presentato dall’imprenditore, l’alternativo scenario liquidatorio fosse percorribile oppure più svantaggioso.
Ebbene, la conclusione del Tribunale è stata, in tal senso, positiva per l’imprenditore: l’accordo presentato, nonostante mancasse dell’adesione degli enti fiscali e previdenziali, oltre a rispettare tutti i requisiti previsti dalla legge fallimentare era un’alternativa migliore rispetto all’opposta eventualità, vale a dire quella della liquidazione.
Per tali ragioni, il Tribunale ha omologato l’accordo di ristrutturazione debiti sulla base dell’art. 182-bis l.f., dando atto della sussistenza dei presupposti di legge con riferimento alla proposta di transazione con gli enti previdenziali e fiscali.