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Contratto di spedalità: il danno per morte successiva ad intervento chirurgico con esito infausto

CONTRATTO DI SPEDALITA’: IL DANNO PER MORTE SUCCESSIVA AD INTERVENTO CHIRURGICO CON ESITO INFAUSTO

La Cassazione ha esaminato recentemente il caso del danno derivante dal contratto di spedalità nel quale il paziente decedeva dopo un certo lasso di tempo successivo ad un intervento chirurgico con esito infausto.

Una dinamica di eventi che veda un paziente subire lesioni personali a causa di un fatto doloso o colposo altrui (incidente o intervento chirurgico con esito infausto), sopravvivere all’evento per un certo periodo e poi decedere a causa delle lesioni sofferte, genera un danno classificabile in tre fattispecie: due, all’interno del medesimo concetto giuridico di danno alla persona, rappresentate dal pregiudizio derivante dalla lesione della salute e dal turbamento interno derivante dalla consapevolezza di una morte imminente, l’ultima rappresentata dal danno direttamente subito dagli eredi per la perdita del rapporto parentale.

Le prime due fattispecie di pregiudizio hanno in comune una natura non patrimoniale, mentre sono differenziate tra loro da quella che viene chiamata consistenza reale: nella prima (danno biologico o da lesione della salute) che ha fondamento medico-legale, si verifica una forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo dell’invalidità, anche nel caso in cui la vittima sia incosciente; nella seconda, ovvero danno morale in senso stretto (o anche danno da patema d’animo o danno morale soggettivo) che al contrario della prima non ha fondamento medico-legale, si verifica un particolare stato d’animo del quale, per evidenti ragioni, può soffrire solo la persona in stato di coscienza.

Quanto infine al danno non patrimoniale derivato dalla perdita del rapporto parentale subito dagli eredi del paziente deceduto a seguito di intervento e lunga degenza degenerata in morte, a proposito della quantificazione della somma da liquidare, l’esistenza di uno stretto legame di parentela tra la vittima e gli stretti congiunti, che agiscano per essere risarciti della perdita, costituisce di per sé un elemento presuntivo su cui basare la prova dell’esistenza del danno non patrimoniale. L’onere di dimostrare l’eventuale scarsa significanza del rapporto parentale grava sul soggetto chiamato in giudizio a risarcire il danno.

Nel caso di figli, a nulla rileva l’età adulta o anche avanzata dei figli in punto di dolore per la perdita del genitore/genitrice, non rientrando considerazioni a ciò relative nella elencazione delle circostanze di fatto prese in considerazione dai sistemi di liquidazione tabellare del danno più accreditati dai tribunali italiani.