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Anche la stampa che definisce imputato una persona sottoposta a indagini risponde di diffamazione e paga i danni

ANCHE LA STAMPA CHE DEFINISCE IMPUTATO UNA PERSONA SOTTOPOSTA A INDAGINI RISPONDE DI DIFFAMAZIONE E PAGA I DANNI.

 

Le Sezioni Unite civili sono state chiamate a esaminare la questione se la stampa che definisce imputato una persona in quel momento solamente sottoposta ad indagini risponda o meno del reato di diffamazione e debba pagare i danni.

Nello specifico, la questione riguarda il rilievo che assume ai fini della possibile scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, la circostanza per la quale al soggetto che si ritiene diffamato a mezzo stampa sia stata attribuita la qualifica di imputato in luogo di quella di indagato.

Nell’ambito dell’espletamento del diritto di cronaca giornalistica, segnatamente quella giudiziaria, va posto in evidenza il requisito della verità della notizia, allorquando la verità dei fatti oggetto della notizia non è attinta da inesattezze di carattere secondario che nel contesto dell’articolo non alterino l’essenza dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili: ed è in questo senso che spiccano le diversità interpretative, che le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere.

Da un lato, secondo un orientamento costante della Cassazione civile, integra diffamazione a mezzo stampa l’attribuzione a un soggetto della falsa posizione di imputato anziché quella di indagato. Dall’altro, qualche pronuncia della Cassazione penale esclude che si possa dare luogo a diffamazione con la divulgazione di una notizia che riporta l’erronea qualità di imputato anziché quella di indagato. affermazione, integrandosi una mera inesattezza su un elemento secondario rispetto al fatto storico.

I Giudici della legittimità civile partono dal diritto alla libera manifestazione del pensiero tutelato, oltre che dall’articolo 21 della Costituzione, anche dall’art. 10 CEDU, quale norma posta a tutela della libertà di espressione contro le ingerenze dei pubblici poteri. Esso non si ferma all’esercizio in forma individuale ma si estende anche alla sua manifestazione in forma collettiva, nell’aspetto bifasico del diritto di informare intimamente connesso a quello di essere informati.

In tale quadro normativo, il diritto di cronaca (come pure quello di critica) si configura quale esimente che attribuisce un valore universalmente lecito alla condotta di diffusione di notizie – o, quanto al diritto di critica, di valutazioni prettamente soggettive – in tutti i rami in cui l’ordinamento si articola.

Specularmente, l’esercizio del diritto di cronaca (o critica) per sua stessa natura è portato a interferire con i diritti di cui è portatore il singolo destinatario della narrazione, che sono ugualmente tutelati a livello costituzionale: il diritto della personalità, della reputazione, dell’onore e dell’immagine, per limitarsi a quelli più generali. La loro lesione costituisce diffamazione, che viene sanzionata in modo diverso; rispetto alla legge penale, mediante la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 595 del codice penale, mentre civilmente è fonte di responsabilità ai sensi del combinato degli artt. 2043 e 2059 del codice civile (sia dal punto di vista patrimoniale, sia da quello non patrimoniale).

In tale ottica, il rilievo della pronuncia delle SS.UU. civile si riverbera sul diritto di cronaca, che assume fisionomia peculiare nel momento in cui il suo contenuto concerna le cronache giudiziarie, che lo connota di una vocazione culturale e sociale più pregnante, attirando l’attenzione del lettore sui fatti di reato e sull’attività degli organi giudiziari. E in questo senso viene data continuità ad alcuni principi di massima, sovrapponibili sia in campo civile, sia in quello penale; per aversi l’applicabilità dell’esimente dell’art. 51 del codice penale è indispensabile che venga verificata con cura e diligenza l’attendibilità della fonte; in caso di notizie a proposito di provvedimenti giudiziari, oltre alla fedeltà della notizia, si esige il mantenimento della necessaria correlazione tra fatto narrato e quello accaduto; infine, quanto alle inesattezze dei fatti, esse devono avere carattere ‘secondario’, tale da non alterare la portata informativa della notizia rispetto al soggetto alla quale è riferibile – in senso contrario, sono rilevanti e non secondarie le notizie che stravolgono il fatto ‘vero’, in maniera da renderne offensiva l’attribuzione a taluno.

Le Sezioni Unite civili della legittimità, esaminando il caso concreto a loro sottoposto, giungono pertanto al principio per il quale qualora la notizia attribuisca a un soggetto la falsa posizione di imputato anziché quella di indagato, il reato di diffamazione a mezzo stampa non viene scriminato dal diritto di cronaca giudiziaria, poiché tale notizia cagiona una lesione alla reputazione del soggetto interessato, giudizio che viene riservato al giudice di merito.

Nel caso di specie, la notizia ‘confondeva’ la posizione di un cittadino definendolo imputato già al momento della chiusura delle indagini preliminari (mentre è, per l’appunto, ancora sottoposto a indagini), qualifica che viene invece assunta con la richiesta di fissazione dell’udienza preliminare. Ora, se è pur vero che l’art. 415bis c.p.p. tratta della notifica della chiusura delle indagini se [il Pubblico Ministero] non deve formulare richiesta di archiviazione, con il che verrebbe da ritenere inevitabile la susseguente richiesta di giudizio avanti il G.U.P., è altrettanto vero che il diritto del soggetto a essere sentito dall’organo inquirente prima potrebbe portare, tramite dichiarazioni o produzioni documentali, a modificare il quadro accusatorio a suo favore, anche con la successiva richiesta di archiviazione, che strutturalmente precede – escludendolo – l’esercizio dell’azione penale.