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Mascherine e tentata frode in commercio: non è reato se il cliente è esperto

MASCHERINE E TENTATA FRODE IN COMMERCIO: NON È REATO SE IL CLIENTE È ESPERTO

 

Non si configura il reato di frode in commercio ex articolo 515 c.p., nella sua forma tentata, se l’acquirente è un cliente professionale esperto del settore e il prodotto è palesemente difforme alle pattuizioni: l’individuazione del reato di tentata frode in commercio, infatti, deve tener riguardo all’idoneità della condotta, univocamente diretta a realizzare l’evento del reato.

Questo è quanto stabilito dalla Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 10129/2021, di fronte al caso di un’ingente quantità di mascherine importate dalla Cina e non corrispondenti al prodotto richiesto dall’acquirente. Nello specifico, la qualità delle mascherine era totalmente divergente da quella richiesta dall’acquirente, tanto da non corrispondere minimamente ad un dispositivo medico di protezione.

Secondo la Corte, il fatto che il prodotto fosse palesemente estraneo alla natura di dispositivo medico di protezione personale – mancava del marchio CE ed era privo di indicazioni in lingua italiana – è ragione sufficiente per non permettere di configurare il reato di tentata frode in commercio (e la conseguente misura cautelare del sequestro delle prodotto): il futuro acquirente, infatti, essendo un cliente professionale ed esperto del settore, avrebbe facilmente riconosciuto la natura inidonea delle mascherine.

In particolare, di fronte ad un prodotto palesemente difforme da quello pattuito, la cui difformità è facilmente individuabile dal cliente per via della natura esperta e professionale di quest’ultimo, non viene in rilievo «una condotta potenzialmente decettiva, ma al più una mera violazione contrattuale.»