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La lettera di patronage

LA LETTERA DI PATRONAGE

Il mondo economico si basa in maniera consistente sull’uso e sulla disponibilità di garanzie, che esse siano reali o personali, subendo quindi una notevole influenza dalle normative che le disciplinano.

Tali garanzie presentano carattere personale nel momento in cui forniscono al creditore un ulteriore patrimonio, sul quale rivalersi in caso di inadempimento da parte del debitore.

Tra le garanzie di tipo personale può essere fatta una prima ed immediata distinzione, cominciando a trattare differentemente le garanzie personali tipiche, tra le quali troviamo la fideiussione, il mandato di credito, l’anticresi e l’avallo, e le garanzie atipiche, come il contratto autonomo di garanzia e la lettera di patronage, che sarà oggetto di questa breve trattazione.

Brevemente, per scoprire le origini storiche delle garanzie personali, occorre risalire indietro nel tempo, fino al 2250 AC circa, epoca alla quale viene fatto risalire il codice di Hammurabi; si ritiene questo essere il primo codice ad aver disciplinato questa materia.

Anche i Romani avevano sviluppato una complessa disciplina delle garanzie personali: nell’epoca giustinianea, la fideiussione era largamente utilizzata nei commerci.

Il diritto romano ispirò successivamente la composizione di molti codici, includendo quindi l’ambito delle garanzie, ma non per quanto riguarda il diritto inglese, che su questo campo ha subìto uno sviluppo totalmente autonomo ma non per questo troppo differente; anche nel mondo anglosassone, le garanzie erano un requisito indispensabile di ogni transazione.

Una legge dell’epoca addirittura dichiarava come: “Nessun individuo può acquistare e barattare senza garanti o testimoni”.

Circa nel XIV secolo si è visto il graduale passaggio dalla pratica della garanzia tramite testimoni ad una visione prettamente contrattuale del rapporto tra le parti.

Dopo questa breve illustrazione e descrizione di come, a larghe vedute, si è evoluto il concetto di garanzia personale, concentriamo ora il discorso su quello che, come sopra enunciato, sarà l’oggetto principale di questo trattato: la lettera di patronage, fenomeno nato all’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni, e rapidamente diffusosi anche in Italia, dove va sempre più trovando conferma.

Benché essa sfugga a precisi inquadramenti teorici, e poco differisca tra i vari paesi e i loro ordinamenti, la lettera di patronage può invece essere descritta seguendo un punto di vista prettamente funzionale; tale garanzia instaura un rapporto tra un soggetto, il patronnant, che si trova in una posizione dominante rispetto ad un altro, e una banca, dalla quale il soggetto “dominato” aspira a ricevere un finanziamento o, ma questi casi sono meno frequenti, lo ha già ricevuto.

Il patronnant invia una lettera alla banca, attraverso la quale comunica il proprio sostegno, in termini di influenza e capacità monetaria, rispetto al terzo soggetto, assumendosi inoltre obblighi ed impegni nei confronti della banca, al fine di favorire la concessione del finanziamento.

Quali motivazioni spingono all’instaurazione di un rapporto di questo tipo?

Principalmente, si tratta di motivazioni economiche: il patronnant può essere identificato nella figura del socio maggioritario di una società, il quale quindi avrà reale interesse ad ottenere un prestito per la società stessa, oppure può sorgere un rapporto finanziario tra istituti di credito e gruppi di società, per cui la capogruppo, anche chiamata holding, utilizza la lettera di patronage per svolgere la funzione di assistenza finanziaria alle società controllate.

Più difficili, ma comunque non inesistenti, sono i casi in cui non vi siano cause prettamente economiche, ma soggezioni di tipo morale o familiare; oppure, ancora meno frequenti, lettere di patronage che non abbiano la banca come destinatario, quindi con finalità diverse rispetto alla normale garanzia di credito; è in ogni caso evidente come l’ambito di maggior interesse nell’analisi di questa figura, intesa sia giuridicamente che economicamente, sia quello dei gruppi di società e del finanziamento bancario.

Grazie alla lettera di patronage, quindi, il credito è basato su un rapporto di fiducia che trae la sua origine da una complessa mole di informazioni sul richiedente fornita dal patronnant stesso, grazie alla quale la banca, naturalmente dopo attente analisi, decide se finanziare il terzo soggetto o meno.

Abbiamo osservato come tra i principali protagonisti della stipulazione di questa particolare garanzia vi siano i gruppi di società; la lettera di patronage ha avuto e sta avendo nella storia contemporanea un ruolo primario per questo particolare tipo di organizzazione societaria, la quale nasce con lo scopo di usufruire al massimo del principio della responsabilità limitata.

La frammentazione che subisce un’impresa, in origine unitaria, porta ad una cosiddetta “diversificazione del rischio”: in termini semplici, proprio per il principio della responsabilità limitata, ciascun elemento del gruppo di società risponde solo dei propri debiti, senza coinvolgere gli altri membri del gruppo.

L’ordinamento italiano ha concepito il principio della rigida separazione patrimoniale e giuridica tra soggetti diversi; in altri paesi, invece, si assiste solitamente ad un parziale  superamento di tale schema: in Francia si fa ricorso a concetti come l’apparenza del diritto e la tutela dell’affidamento del terzo per poter riconoscere quale rapporto di responsabilità intercorre tra i membri di un gruppo di società; nei paesi anglosassoni si giunge al medesimo risultato quando l’impresa controllata può definirsi agent dell’impresa controllante; in Germania è prevista una pluralità di ipotesi, come l’atto di Eingliederung, che provoca responsabilità solidale per le obbligazioni assunte, come contratti meno impegnativi, ad esempio quello di denominazione, che comportano obblighi di copertura delle perdite e altre garanzie, o come il Konzern di fatto, pratica per la quale si devono risarcire i danni alla controllata solo in determinati casi.

Proprio considerando questi elementi si può capire come la lettera di patronage abbia avuto un’importante sviluppo sia nell’ambito giuridico che in quello economico; essa costituisce una vera e propria confessione dell’unitarietà di gestione, sollevando chi la riceve dall’onere della prova e consentendo un più agevole recupero delle somme erogate alla società controllata.

Non serve, come nel caso francese, un ricorso ai concetti sopra citati, l’apparenza e la tutela di affidamento, come non serve provare che, prendendo ad esempio una società inglese, essa debba avere definiti requisiti per essere chiamate agent; la lettera di patronage è sufficiente alla banca per poter provare come la società richiedente faccia parte di un gruppo.

Benché sia la ragione principale, questa appena descritta non è l’unica per cui una banca accetta di stipulare tale garanzia: in realtà, con la lettera di patronage aumenta il rischio di rientro, rispetto ad esempio ad una più classica garanzia tipica; il punto chiave dell’utilità della lettera di patronage è il rapporto che si crea tra la banca e la società controllante, oltre alla possibilità che la banca ha di poter conoscere quanto solida sia la situazione finanziaria di un gruppo, per poter eventualmente anche in futuro stipulare contratti.

Naturalmente, non è solo la banca ad ottenere vantaggi; oltre alla società controllante, alla quale viene concesso il finanziamento, anche il patronnant può godere di benefici dalla stipulazione: innanzitutto, non è compito del consiglio di amministrazione nell’atto costitutivo sottoscrivere la lettera, bensì dell’amministratore delegato, così da creare una facilità di procedimento notevole, che con le altre garanzie non si avrebbe.

In secondo luogo, vantaggi importanti si hanno per quanto riguarda la redazione del bilancio: l’art. 2424 c.c. riporta come obbligatoria l’iscrizione di obbligazioni di garanzia prestate, cioè quelle garanzie previste dalla legge; non essendo la lettera di patronage una garanzia tipica, essa non deve rientrare nel bilancio, evitando così un appesantimento del passivo, oltre che una negativa pubblicità dello stato finanziario del gruppo.

Riguardo l’imponibilità del finanziamento ottenuto in garanzia di patronage, potrebbe sembrare questo un metodo di elusione dell’obbligo finanziario, non essendo la lettera contenuta nel testo che disciplina l’imposta di registro (d.p.r. n.534, art.6 allegato A); in realtà, l’art. 9 successivo dello stesso decreto prevede la tassabilità di “atti diversi da quelli altrove indicati, aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”, chiarendo come siano inesistenti le convenienze fiscali ottenibili con la lettera.

Anche se poco si è ancora detto sulla lettera di patronage, pare già evidente come questa sia un fenomeno principalmente pratico; è difficile inquadrarla in maniera chiara e definitiva, come invece accade per figure quali la fideiussione, anche se è possibile esaminarne la struttura generale, avendo ben chiaro in mente come essa possa però variare di caso in caso.

A grandi linee, è possibile distinguere tre grandi gruppi o “famiglie”, all’interno delle quali sono riportate le fattispecie che presentano una simile natura giuridica.

Un primo gruppo è caratterizzato dalla funzione prettamente informativa che le lettere svolgono: si tratta spesso di dichiarazione di policy, cioè un sunto col quale il patronnant spiega alla banca la situazione della società controllata e tutte le altre informazioni che servono alla banca stessa per poter considerare un finanziamento.

Probabilmente è questa la tipologia di lettera meno usata, visto lo scarso impegno che si assume sia la società controllata sia la controllante in caso di inadempimento.

Proprio per la ragione appena citata, le tipologie successive sono le più usate: in esse il patronnant non solo deve fornire tutte le informazioni necessarie, ma anche promettere una serie di impegni nei casi di inadempimento totale o parziale della controllata.

Per distinguerle, la seconda famiglia di lettere comprende una serie di dichiarazioni con le quali il patronnant si assume una serie di impegni, principalmente di facere; l’ultimo gruppo invece riguarda dichiarazioni più forti, che implicano quindi impegni assunti dal patronnant di dare, con conseguente assunzione di responsabilità che dalle altre lettere solitamente non traspare.

In generale, la banca è più propensa a concedere un finanziamento se riceve come garanzia anche l’assunzione di responsabilità; pochi sono i casi in cui basta l’assunzione di un impegno di fare, ancor meno i casi in cui al patronnant è sufficiente disporre una lettera informativa; proprio per tale ragione, l’ultima tipologia di lettera è in assoluto la più utilizzata.

La dottrina ha individuato ben tredici tipi di dichiarazioni facenti parte della lettera di patronage; tra queste, il patronnant decide quali sono più utili per la fattispecie concreta, non essendovi naturalmente alcun obbligo circa il loro inserimento.

Senza approfondire troppo l’argomento, per non avere un elenco eccessivamente caotico, ecco quali sono le dichiarazioni che, come appena riportato, la dottrina ha individuato in riferimento alla lettera di patronage:

  1. Dichiarazione di consapevolezza, attraverso cui la società si dichiara al corrente dell’esistenza di un rapporto di finanziamento tra la banca e la società controllata, sia che questo accordo sia già in atto, sia che questo sia da perfezionare;
  2. Dichiarazione di approvazione del rapporto stesso;
  3. Dichiarazione confermativa di controllo, attraverso la quale la società controllante dichiara la percentuale del pacchetto azionario della controllata da essa posseduta;
  4. Dichiarazioni informative sul conto della società controllata;
  5. Dichiarazione di policy che, come precedentemente anticipato, è soprattutto contenuta nelle lettere della prima “famiglia”, cioè le lettere prettamente informative; queste possono avere un contenuto variabile, solitamente sono volte a non sfociare in un rapporto giuridico ma a rimanere in ambito extragiuridico appunto;
  6. Dichiarazione di futuro mantenimento della partecipazione, con cui ci si obbliga ad informare la banca in caso di eventuale cessione delle quote di partecipazione;
  7. Dichiarazione di assunzione di obblighi proprio un caso di cessione della partecipazione;
  8. Dichiarazione di influenza, con cui si promette di esercitare la propria influenza sulla controllata in caso di rischio di inadempimento;
  9. Dichiarazione di divieto di svuotamento, con la quale si promette di non sottrarre risorse alla società controllata nel caso questa non abbia poi sufficienti capacità per adempiere;
  10. Dichiarazione di generale mantenimento della solvibilità, con la quale la controllante si impegna a controllare che la controllata disponga sempre di risorse sufficienti;
  11. Dichiarazione di assicurazione di adempimento;
  12. Dichiarazioni concernenti la futura disponibilità di mezzi della società controllata
  13. Dichiarazioni finali simili a quelle contenute negli altri tipi di garanzia; queste ultime sono perlopiù inutili, anzi, proprio per l’utilizzo che se ne fa, volto a far sembrare la lettera il più possibile una garanzia di diverso tipo, una dichiarazione di tal genere è solitamente sintomo di incapacità o cattiva gestione dell’accordo.

Per riassumere, quindi, la lettera di patronage non ha una struttura ben delineata, ma può variare di caso in caso. La classificazione generale che viene fatta porta ad una divisione in tre grandi gruppi: lettera di patronage informativa, lettera di patronage impegnativa debole e lettera di patronage impegnativa forte.

In merito però alla natura giuridica della lettera, poco si è finora detto: fondamentale è capire come le lettere informative abbiano una natura extranegoziale, dalla quale non deriva nessuna responsabilità nel caso in cui vi sia inadempimento da parte della società controllata, anche se responsabilità potrebbe esserci se il patronnant desse informazioni non vere alla banca; nel caso in cui si verificasse questa situazione, cioè un rapporto non negoziale ma nel quale la società controllante ha riportato informazioni non vere solo al fine di ottenere un finanziamento per la società da lei controllata, il danno andrebbe a costituire un illecito extracontrattuale, ricadendo quindi nei termini dell’art.2043 c.c..

Per quale ragione, anche trattandosi di un accordo extranegoziale, l’inesattezza o la non veridicità delle informazioni porterebbe all’illecito?

La Corte Suprema ha ritenuto che con tali lettere il patronnant si inserisca nelle trattative tra banca e società controllata, influenzando l’esito della trattativa e creando nella banca una aspettativa sul buon esito dell’operazione. Informazioni inesatte sono quindi valutabili alla stregua dei principi degli artt.1337,1338 c.c., violando sia il principio della buona fede sia quello della correttezza.

Le lettere di patronage a titolo impegnativo, invece, dovrebbero a tutti gli effetti portare ad una responsabilità vera e propria della controllante, soprattutto nei casi di inadempimento contrattuale e nei casi di lettera cosiddetta “forte” che, come sopra descritto, porta il patronnant ad assumersi impegni ed obblighi di dare.

Anche la Cassazione ha fornito una risposta affermativa in tal senso, ritenendo che il patronnant, nel caso di lettera di patronage forte, sia pienamente responsabile anche sotto il profilo negoziale dell’accordo. Il dubbio principale sorge per quanto riguarda la natura della lettera, se sia essa legata all’ambito dell’art.1987 c.c., per cui “la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge”, oppure se sia assimilabile all’art. 1333 c.c., “contratto con obbligazioni del solo proponente”, per cui “la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.

Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso.”

La natura di quest’ultimo articolo è, come evidente, non univoca; proprio per questo la Cassazione del 1995 ha stabilito come la lettera di patronage, benché rientri nell’ambito dell’art. 1333, sia da considerarsi come atto unilaterale che, sebbene soggetto a rifiuto, è comunque fonte di obbligazioni in base alla sola volontà dell’obbligato.

La Corte quindi supera, in questo caso, la tipicità dell’art.1987 c.c., enunciando: “La portata di tale disposizione è tuttavia meno significativa di quel che potrebbe apparire. [..]

Essa non va intesa nel senso che i casi, nei quali la legge riconosce effetti obbligatori alla promessa unilaterale, siano soltanto quelli contemplati nel titolo quarto delle obbligazioni[..]”.

In questo modo quindi, la lettera di patronage, identificata come atto unilaterale, porta alla piena responsabilità contrattuale nei casi previsti.

Secondo una diversa prospettiva, invece, il tratto saliente della lettera di patronage consisterebbe proprio nella totale assenza di responsabilità contrattuale, che rende questa garanzia diversa dalle garanzie tipiche come la fideiussione; la sola responsabilità extracontrattuale sarebbe utile soprattutto per quanto riguarda la possibilità di non iscrivere bilancio le obbligazioni sorte. La differenza tra questa considerazione di patronage e quella enunciata precedentemente ha principio nella distinzione tra lettera informativa e impegnativa: in quest’ultimo caso il discriminante sta nel considerare come inesistente una lettera di patronage impegnativa, poiché nel momento della sottoscrizione il patronnant non promette alcunché alla banca, ma semplicemente si ripromette di fare o non fare qualcosa. Se non fa ciò che ha comunicato, non deve rispondere di inadempimento, ma semplicemente per aver deluso le aspettative della banca, ex.art.2043, rientrando quindi solo in ambito extracontrattuale.

I sostenitori della prima e precedente teoria, per cui il patronnant deve rispondere in caso di inadempimento, ritengono al contrario che sia fondamentale fare una prima distinzione tra patronage meramente informativo e patronage impegnativo, nel quale le promesse e gli obblighi assunti dal patronnant sono assolutamente vincolanti.

Per quanto riguarda la giurisprudenza, in qualsiasi ordinamento, fino ad oggi vi sono stati pochissimi casi in cui la lettera di patronage è stata oggetto di provvedimenti giudiziali; la scarsità di pronunce sembra derivare da un preciso fatto: i rapporti che esistono tra banca e gruppo di società sono solitamente più ampi del semplice accordo scaturito dalla lettera e dal singolo episodio, per cui un semplice disaccordo a riguardo può essere facilmente raggiunto, senza cadere nel vincolo di una lite giudiziaria.

In Italia, la prima sentenza sulla lettera di patronage è stata emessa dal Tribunale di Milano il 10 maggio 1979 e costituisce un vero e proprio precedente giuridico sul quale si sono basate molte successive sentenze. Il fatto: una banca ha emesso un finanziamento a favore di una società dietro rilascio, da parte della società straniera che fungeva da capogruppo, di una lettera di patronage, nella quale si coglieva una dichiarazione del patronnant riguardo la qualità della controllata e un impegno assunto nell’informare riguardo eventuali variazioni di partecipazione societaria; successivamente, si faceva “esplicito riferimento al rapporto di apertura di credito in essere tra società Dubied Italiana e la Banca Vonwiller, dichiarando il proprio assenso al mantenimento del rapporto”, per poi concludere la lettera con la società che si obbligava a fare in modo che “la società di Milano sia in grado di adempiere alle sue obbligazioni verso la Banca promissaria”.

Trovandosi in seguito in difficoltà la Società Italiana, questa chiese un concordato preventivo ai creditori, accettato dalla banca, la quale però chiese anche che la società madre “soddisfi la residua parte del credito rimasto impagato in sede concorsuale”; come logico, la società capogruppo si oppose, portando ad una lite giudiziaria che sfociò, come detto, nella prima sentenza sulla lettera di patronage.

Il Tribunale ritenne che il punto focale della lettera fosse l’impegno assunto dal patronnant a “fare tutto il possibile affinché la controllata rispettasse i suoi impegni”, riconducendo la fattispecie all’art.1381 c.c., il quale articolo enuncia come “Colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l’altro contraente, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso”.

Nella sentenza, il Tribunale argomentò però come non potesse accogliere la domanda della banca, poiché l’indennizzo previsto dall’art.1381 c.c. presuppone “che si sia verificato inadempimento da parte del terzo”, escludendo il caso in questione da tale ipotesi, poiché il concordato preventivo precedente alla lite “è un modo previsto dalla legge di estinguere le proprie obbligazioni”, quindi non si poteva parlare in questa circostanza di inadempimento da parte del terzo.

La dottrina ha contestato l’operato del Tribunale, almeno in parte. La critica riguarda la qualifica che il Tribunale ha compiuto della fattispecie, inquadrandola come promessa del fatto del terzo. La società controllante infatti pone l’accento su un comportamento proprio, cioè l’assicurazione alla banca di fare tutto il possibile, tralasciando qualsiasi intento di trasferimento di rischio da inadempimento dalla banca a sé.

Si tratta, secondo la dottrina, di una dichiarazione di generale mantenimento della solvibilità, che avrebbe costituito quindi, all’interno della controversia, una violazione dell’affidamento da parte della società controllante, violazione generata dagli impegni assunti tramite la lettera di patronage.

La sentenza che forse più ampiamente tratta della lettera di patronage è quella del Tribunale di Milano del 30 maggio 1983.

Nello specifico, si tratta di un rapporto di finanziamento tra una banca ed una società cui è stato concesso un credito in base ad una lettera di patronage rilasciata non dal capogruppo di quella società bensì da un’associazione per la tutela e la promozione delle imprese cooperative, la Lega Nazionale delle Cooperative; la controversia sorse al momento del fallimento della società che aveva ricevuto il credito.

Dalla sentenza possiamo cogliere un passo della lettera, utile per avere un esempio concreto di come questa si delinea:

“Ci pregiamo di comunicarvi che […] siamo intestatari del 30% del pacchetto azionario della Siderurgica Duina S.p.a. e che il signor. prof. Ceserani è stato da noi delegato a rappresentarci nel Consiglio di amministrazione della Siderurgica S.p.a. come da verbale di delibera […]

Vi confermiamo inoltre la nostra richiesta a voler concedere alla Siderurgica Duina nuove facilitazioni di credito fino alla concorrenza di L. […]

Siamo a conoscenza che alle Società del Gruppo Duina avete concesso linee di credito per un ammontare di […] e che è nostro interesse che tali impegni vengano mantenuti in essere.

In relazione alle facilitazioni che avete come sopra concesso e che andrete a concedere, ci impegniamo a controllare che la Siderurgica Duina adempia puntualmente alle obbligazioni assunte nei vostri confronti e ci impegniamo a tenervi preventivamente informati di eventuale futura cessione delle azioni costituenti la nostra attuale partecipazione alla società; la cessione non potrà essere attuata prima che vengano rimborsati a vostra richiesta tutti i crediti per capitali ed interessi”.

Il Tribunale, nell’affrontare il caso, premette delle considerazioni generali sulla lettera di patronage, suddividendo le dichiarazioni in due possibili gruppi: un primo gruppo con funzione meramente informativa, che avrebbe dato luogo a responsabilità extracontrattuale, un secondo gruppo invece di dichiarazioni impegnative che avrebbero dato luogo a responsabilità contrattuale.

Molto facilmente si può capire quali siano le parti ritenute “impegnative”: vi sono solamente due promesse all’interno della lettera, la prima di concessione di nuove facilitazioni di credito e la seconda di impegno a controllare il totale adempimento da parte della società controllata.

Secondo il Tribunale, proprio la prima delle due promesse, cioè la facilitazione di credito, sarebbe stata da integrare completamente all’interno della fattispecie del mandato di credito, dell’art. 1958 c.c., facendo così diventare il rapporto tra banca e patronnant un rapporto vero e proprio di fideiussione. Sempre per il Tribunale, non sarebbe stato possibile applicare l’art.1956 c.c., il quale prevede come il fideiussore possa essere liberato da obbligazione futura nel caso in cui il creditore abbia fatto credito al terzo “pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”.

Tralasciando le critiche che la dottrina ha compiuto sul mancato utilizzo dell’art.1956, importante per la nostra trattazione è capire perché in questo caso la lettera di patronage sia stata identificata come fideiussione vera e propria o, per essere più precisi, con la figura del mandato di credito. La frase incriminata, “Vi confermiamo inoltre la nostra richiesta a voler concedere alla Siderurgica Duina nuove facilitazioni di credito fino alla concorrenza di L. […]”, sembra qualificabile non nella fattispecie del mandato di credito, ma semplicemente come dichiarazione di consapevolezza ed approvazione, una forma di cortesia che, come abbiamo appreso, si trova solitamente in qualsiasi lettera di patronage.

Vi sono due differenti punti per cui sembra improbabile la tesi argomentata dal Tribunale:

innanzitutto, l’assenza di volontà di obbligarsi da parte dell’associazione, che porta ad escludere la natura obbligatoria della dichiarazione; in secondo luogo, la mancata accettazione del mandato di credito da parte della banca. Per concludere quindi, sembra improbabile una connessione tra lettera di patronage e mandato di credito, per quanto alcuni caratteri appaiono sostanzialmente simili; la natura della lettera delinea una garanzia assolutamente atipica, che porta a responsabilità di tipo extracontrattuale nei casi in cui vengano date informazioni non veritiere o volte all’inganno della banca. Resta ancora un dubbio: la responsabilità derivante dalle lettere di patronage forti, o indifferentemente da quelle impegnative, porta ad una definizione solo extracontrattuale o anche ad una contrattuale vera e propria?

La sentenza appena esaminata sembra chiara: per il Tribunale di Milano, se una lettera presenta dichiarazioni impegnative, che portano il patronnant ad assumersi obblighi di qualsiasi natura, questa sarà fonte di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze del caso.

Una pronuncia della Corte di Cassazione del 9 maggio 1985 però sembra rivolgere un differente sguardo alla garanzia di cui stiamo trattando: la Corte si pronunciò infatti sfavorevole all’inserimento della lettera di patronage nell’ambito contrattuale.

Ma andiamo per gradi: la questione, la prima che portò la Corte ad occuparsi della lettera di patronage, non riguardava in via principale il patronage, bensì una controversia di tipo fideiussorio, tra il Credito Italiano e la Raytheon Company, società Statunitense.

La Raytheon aveva assicurato alla banca che la Elsi, società controllata, avrebbe fatto onere a tutti gli impegni assunti; aveva inoltre promesso di intervenire in caso di insolvenza della società.

Successivamente al fallimento, o comunque al mancato pagamento del debito da parte della Elsi, il Credito Italiano citò a giudizio la Raytheon chiedendo che essa soddisfacesse il debito, chiamando in causa una presunta responsabilità di tipo fideiussorio.

La sentenza è chiara: il fatto che la società americana si fosse rifiutata di dichiararsi fideiussore ma avesse inviato al Credito delle lettere, contenenti informazioni e impegni ad aggiornare la banca su qualsiasi movimento finanziario, è sufficiente a dichiarare la fattispecie estranea all’ambito della garanzia tipica; la lettera di patronage serviva alla banca per valutare il rischio del fido, in modo da poter eventualmente revocare i finanziamenti già concessi e non concederne altri, ma non per ricevere garanzia vera e propria dal rischio di insolvenza e per ricevere, in caso di inadempimento, il pagamento dalla Raytheon.

Andava quindi esclusa la responsabilità contrattuale derivante dall’assunzione di obblighi attraverso la lettera di patronage, detta anche, per richiamare il linguaggio di common law, “comfort letter”, poiché tali lettere, secondo la Corte, non hanno effetto di impegnare in solido le società, ma servono solo ad assicurare alla banca la conoscenza di elementi di giudizio più idonei e sicuri.

Come sopra enunciato, la Corte di Cassazione per la prima volta afferma l’estraneità della lettera di patronage all’ambito contrattuale, negando soprattutto un’assimilazione di questa con l’istituto della fideiussione. Questo spunto permette di capire come la giurisprudenza sia arrivata a dichiarare la lettera di patronage priva di qualsiasi natura obbligatoria: ma per quale ragione? Sostanzialmente, il punto focale sta nell’espressa intenzione che viene fatta, attraverso la lettera, di non voler prestare garanzia. Inutile è cercare di interpretare qualsiasi altra chiave di lettura: le società sottoscrivono tale lettera proprio per evitare di legarsi con le banche ad un vincolo contrattuale, per evitare altresì di dover pagare un debito nel caso di fallimento della società controllata. Se le società volessero un diverso accordo, diversa sarebbe stata la modalità, come ad esempio i già citati mandato di credito o fideiussione.

La Corte però in questa sentenza non solo argomentò in maniera negativa la lettera di patronage, ma provò anche ad illustrare quale è veramente ed effettivamente il significato di questa garanzia, parlando di un “generico affidamento derivante al creditore di una società dalla presenza e dal comportamento di altra società avente il controllo sula debitrice”, escludendo “affidamento incolpevole dell’esperto istituto bancario” e motivando come le lettere servissero a “valutare il rischio fidi e assicurare all’istituto bancario la conoscenza di elementi di giudizio più idonei e sicuri, di volta in volta aggiornati, per la rivalutazione della bontà dell’affare”.

Sulla stessa scia si pose una sentenza del Tribunale di Roma, del 17 ottobre 1989, che riporto, in maniera concisa, per la chiarezza con cui espone l’argomento:

“…una lettera di patronage con cui una persona giuridica assicura (falsamente) una banca di essere titolare di una parte di consistente del pacchetto azionario di una società esercente un’importante industria si impegna a controllare l’adempimento, da parte di quest’ultima, delle obbligazioni assunte e si obbliga a non cedere la quota delle azioni di cui è titolare prima del rimborso dei debiti da parte della suddetta società nei confronti della banca, lettera di patronage seguita da lettera di presa di atto da parte della banca, non costituisce contratto o, comunque, un’obbligazione giuridica rilevante, non potendo in essa ravvisarsi né una fideiussione, né un mandato di credito, né una garanzia propria o impropria, ma rappresenta soltanto un insieme di informazioni idonee a far valutare la convenienza, o meno degli affari in corso tra la banca e la società”.

Per riassumere, la lettera di patronage, dato il suo carattere atipico e quindi non univoco, difficilmente riesce ad essere delineata in tutte le sue funzioni e conseguenze.

Molte sentenze sono state emanate nell’ordinamento italiano e la maggioranza di queste non è riuscita a cogliere in maniera corretta la funzione di tale garanzia. Sarebbe inutile e difficoltoso riportare tutte le decisioni prese dalla magistratura, per curiosità però riporto una delle ultime sentenze pronunciata in riferimento alla lettera di patronage, per capire al giorno d’oggi in che modo si è recepita la pronuncia della Corte del 1985 che classificava la lettera come estranea all’ambito contrattuale.

Senza addentrarci troppo nei dettagli, si tratta di una sentenza della Corte di Cassazione del 9 febbraio 2016, la quale va a confermare una pronuncia precedente della Corte d’appello di Roma proprio in riferimento alla lettera di patronage; la Corte in questione aveva classificato la lettera di patronage come “forte”, concludendo così che data la natura stessa della lettera, questa era vincolante per il patronnant, nel senso che comportava responsabilità contrattuale avendo generato una vera e propria obbligazione.

La Corte di Cassazione ha sostenuto come “la qualificazione dell’atto come lettera di patronage è ricostruita con piena consapevolezza delle conseguenze giuridiche derivanti dalla violazione dei relativi impegni, onde la coerente conclusione circa l’accertamento dell’esistenza di un danno potenziale. Con riguardo alle cosiddette lettere di “patronage”, che una società capogruppo o controllante indirizzi ad una banca, affinché questa conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata, l’indagine diretta a stabilire se le lettere medesime si limitino a contenere dati e notizie sulla situazione del gruppo o sul rapporto di controllo, rilevanti al solo fine di mettere la banca in condizione di valutare adeguatamente l’opportunità di riconoscere detto credito, ovvero implichino anche l’assunzione di garanzia fideiussoria per i debiti della società controllata, si traduce in un accertamento di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità, se correttamente ed adeguatamente motivato”.

Con tale pronuncia quindi la Corte ha voluto sottolineare l’impossibilità di non adempiere agli impegni presi da parte del patronnant, nonostante la responsabilità derivante dal patronage dovrebbe essere solamente extragiuridica. Importante notare come si sottolinei che la decisione vada presa nel merito: secondo la Corte, la lettera di patronage è classificabile come garanzia atipica ma, se “forte”, cioè se il patronnant si assume obblighi e impegni, essa può addirittura avere conseguenze come la fideiussione, quindi come ogni garanzia tipica; sta al giudice interpretare la fattispecie concreta e stabilire l’entità della lettera.

Pare evidente che tale interpretazione della Corte si avvicini alla concezione che altri paesi hanno di questo istituto, nel senso di entrare nel merito della singola fattispecie.

La lettera di patronage, come è noto, ha origine nei paesi anglosassoni, come comfort letter.

In realtà, ben poco cambia tra common e civil law: la lettera di patronage si è sviluppata e continua a farlo circa allo stesso modo; in Francia e Belgio, vi è la “lettre de patronage”, in Germania, Austria e Svizzera parlano di “patronatjerklarung”, in America e Gran Bretagna si parla, come abbiamo visto, di comfort letter.

Proprio riguardo alla common law, interessante è analizzare una sentenza sulla comfort letter del 1988, la Kleinwort Benson Ltd. v Malesia Mining Corp., della Corte Inglese.

In questo caso l’attore, Kleinwort Benson Ltd., concesse una linea di credito di 5 milioni di sterline alla MMC Metals Ltd., una consociata di Malaysia Mining Corp.

Nel negoziare il contratto di credito, Kleinwort chiese una garanzia del prestito. La Malaysia Corp. dopo rigorose trattative accettò di fornire una “lettera di comfort” come compromesso, nella quale vennero riportati i termini del prestito alla controllata e fornite dichiarazioni per rassicurare il creditore sulla bontà dell’affare; la più importante enunciava: “La nostra politica è di garantire che l’attività di MMC Metals Limited sia in ogni momento in grado di soddisfare le proprie passività a voi secondo le modalità di cui sopra.”

Il ricorso alla Corte venne fatto in merito al significato delle parole contenute all’interno della lettera. Secondo la Kleinwort, il testo della lettera era volto all’assunzione di un impegno anche nel caso di inadempimento da parte della controllante, con conseguente obbligo da parte del patronnant a soddisfare il debito.

Il giudice del caso ha ponderato come non possa essere una comfort letter di tale genere ad avere conseguenze giuridiche per colui che l’ha sottoscritta; non si tratta di una promessa contrattuale, ma solo di un impegno morale o di una questione d’onore del patronnant. È riportato: “Senza un contesto di fatto per indicare una volontà contrattuale, il giudice non può allegare responsabilità contrattuale al linguaggio che non è stato chiaramente volto alla fideiussione” (“Without a factual context to indicate a contractual intent, the court would not attach contractual liability to language that was clearly not promissory).

Infine quindi: “The comfort letter had no legal effect. The fact that MMC BHD had refused to act as guarantor demonstrated they did not intend to be legally bound. The comfort letter referred to company policy at that time. There was nothing to stop the company changing its policy”. Pronuncia che va a dimostrare come la lettera non ha effetto legale, visto che la società si è rifiutata di fare da garante e ha acconsentito solamente a sottoscrivere una lettera di patronage solo per correttezza e per dimostrare la bontà dell’affare.

Di conseguenza, si nota come anche nell’ambito anglosassone la lettera di patronage difficilmente si possa ritenere una garanzia con conseguenze obbligatorie.

Una seconda sentenza interessante è quella “Banque Bruxelles Lambert SA contro Australian National Industries Ltd”, della Corte Suprema del New South Wales in Australia.

La lettera della società così riportava:

” Noi riconosciamo che i termini e le condizioni del regime sono stati accettati con la nostra conoscenza e il consenso e che non sarebbe nostra intenzione di ridurre la nostra quota di partecipazione in Spedley Holdings Limited dal livello attuale del 45% durante la valuta di questa struttura. Vorremmo, tuttavia, fornire la vostra banca con novanta (90) giorni di preavviso di eventuali successive decisioni prese da noi a disporre di tale quota di partecipazione.

Si coglie l’occasione per confermare che è nostra volontà garantire che il nostro affiliato, Spedley Securities Limited, sarà sempre in grado di adempiere ai propri obblighi finanziari alla loro scadenza. Tali obblighi finanziari comprendono il rimborso di tutti i prestiti concessi dalla banca secondo le modalità di cui alla presente lettera”.

La controversia sorse nel momento in cui la società controllante decise di vendere le proprie azioni senza aspettare che la banca venisse ricompensata.

Ancora una volta la Corte decise che la lettera doveva essere interpretata alla luce del suo linguaggio, ma anche nel contesto delle sue circostanze. In questo caso, venne deciso come la lettera di patronage contenesse termini propri di una fideiussione, cioè di una garanzia con conseguenze a livello contrattuale; secondo la Corte Australiana, che criticò quella inglese, addirittura non si può considerare una comfort letter senza un significato contrattuale, poiché essa sarebbe nel caso assolutamente inutile, costruita “per divertimento, e gli uomini d’affari non si limitano mai a costruire documenti solo per divertimento”. Quindi la Corte, oltre a condannare il patronnant, sentenziò in maniera piuttosto netta come la comfort letter non sia assolutamente una garanzia priva di conseguenze, ma un vero e proprio atto che porta ad obbligazioni.

Per concludere questa breve trattazione, alcune considerazioni finali, volte a riassumere le righe precedenti: la lettera di patronage, fenomeno nato nei paesi anglosassoni e importato nel nostro ordinamento, è una garanzia atipica, non ancora perfettamente inquadrata né dalla dottrina né dalla giurisprudenza. Questa comporta un accordo tra la banca che deve concedere un credito e una società, detta patronnant, la quale assicura la bontà dell’affare in termini economici e di controllo sulla società più piccola, destinataria del finanziamento. I dubbi maggiori si hanno riguardo alla natura giuridica della lettera: nel caso essa fosse assimilabile ad un contratto con prestazioni obbligatorie, ne deriverebbero responsabilità di tipo contrattuale per il patronnant, il quale sarebbe costretto a risarcire il debito al posto della controllata nei casi di inadempimento di quest’ultima; nel caso invece in cui la lettera di patronage venisse inquadrata come mera dichiarazione informativa, volta al semplice sostegno alla controllata e aiuto alla banca (in termini di continuo aggiornamento sullo stato della società finanziata, atto che la banca difficilmente riuscirebbe a compiere da sola), allora ci troveremmo di fronte ad una garanzia estranea all’ambito contrattuale e si parlerebbe solo di responsabilità extranegoziale, ex art.2043, nei casi in cui il patronnant desse informazioni false alla banca.

La prassi, come abbiamo potuto notare sia dalle sentenze del nostro ordinamento sia dalle due sentenze estere, vuole che in pochi casi una corte si pronunci in maniera definitiva, tendendo piuttosto ad un’analisi del merito della situazione, con decisioni che si discostano le une dalle altre.

Una cosa appare certa: a guadagnarci da tale garanzia sembra essere non tanto la banca, che comunque ha i suoi motivi per scegliere di stingere questo genere di accordo, quanto la società controllante, il patronnant, che semplifica il processo di sottoscrizione, che aumenta la probabilità di ottenere il prestito e che, allo stesso tempo, non sempre è costretto a dover ripagare il debito se la controllata fallisce.

Milano, 6 dicembre 2016

Matteo de Castello