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IL TRADIMENTO ALL’INTERNO DEL NUCLEO FAMILIARE CONSENTE AL CONIUGE LA REVOCAZIONE DELLA DONAZIONE
La sentenza della Corte di Cassazione n. 19816/2022 ha esaminato una delle fattispecie presentate dall’art. 801 c.c., vale a dire la revocazione della donazione per ingiuria grave. Nello specifico trattavasi di una donazione tra coniugi, dove l’ingiuria consisteva nell’adulterio del marito avvenuto all’interno del nucleo familiare e dello stesso ambiente lavorativo, con la moglie del fratello della coniuge. Il caso ha permesso alla Corte di definire i limiti dell’“ingiuria grave”.
Secondo la Corte, infatti, l’articolo 801 c.c. va a tutelare interessi ulteriori a quelli patrimoniali, quali la dignità e l’onore, appartenenti al patrimonio morale della persona. Un comportamento ingiurioso e quindi lesivo della dignità della persona può risultare fonte di revocazione della donazione.
Trattasi di un caso piuttosto peculiare, visto e considerato come il nostro ordinamento tuteli la forza di legge del contratto tra le parti prevedendo come solo il mutuo consenso ne determini lo scioglimento, al di là di alcune ristrette previsioni di legge. Eppure, l’articolo 801 c.c. si inserisce in un contesto di protezione da parte dell’ordinamento di alcuni interessi ritenuti superiori, quali la dignità e l’onore della persona. Le ragioni che sottostanno alla possibilità di chiedere la revocazione della donazione si riferiscono proprio a quegli atti, compiuti dal beneficiario nei confronti del donante, ritenuti lesivi della sfera personale e morale della persona, al punto da individuare le fattispecie tipiche che consentono al donante di domandare la revocazione. Tra queste, come evidenziato, si trova l’ingiuria grave, consistente in un «durevole sentimento di disistima» nei confronti del donante. Nel caso specifico dell’ingiuria grave per adulterio del coniuge, la Corte si è espressa attraverso un preciso ragionamento.
Ciò che si coglie immediatamente dalle parole delle Corte è come non sia sufficiente il singolo comportamento adulterino. Occorre infatti individuare un comportamento che sia lesivo della dignità della persona nei termini di profonda disistima della persona del donante. Colui che ha tratto beneficio dalla donazione dovrà mantenere un atteggiamento che dimostri l’avversione nei confronti di chi ha donato, attraverso comportamenti che dimostrino la totale mancanza di rispetto nei confronti della dignità del donante, lesivi della sua dignità e tali da manifestare un segno di profonda ingratitudine.
L’analisi che il giudice deve compiere nei confronti della singola fattispecie deve quindi essere volta alla ricerca di un vero e proprio dolo del beneficiario della donazione, al fine di cogliere gli aspetti della volontarietà e della consapevolezza nell’atteggiamento lesivo.
Solo attraverso la ricerca di questi aspetti, infatti, potrà essere dimostrata l’ingiuria grave ai sensi dell’art. 801 c.c. e potrà essere revocata la donazione effettuata dal coniuge, così da salvaguardare quegli interessi morali che l’atto ingiurioso ha leso.
Nel caso di specie, non era l’adulterio in sé a comportare un’offesa alla dignità tale da consentire la revocazione, bensì il fatto che questo fosse stato commesso all’interno dell’ambiente familiare e in una cornice di un comune ambiente lavorativo: ciò, per i giudici, era sintomo di un profondo sentimento di disistima nei confronti del coniuge tradito, atto compiuto con volontarietà e consapevolezza di ledere l’onore e la dignità.
Il coniuge donante, quindi, aveva tutto il diritto di richiedere, ai sensi dell’art. 801 c.c., la revocazione della donazione eseguita tempo prima nei confronti del coniuge beneficiario.
Questa la massima che si può ricavare: «Non basta ad integrare un’ingiuria grave tale da legittimare la domanda di revocazione di una donazione, una mera relazione extraconiugale. Tuttavia, la circostanza che l’adulterio sia maturato all’interno del nucleo familiare ristretto dei due coniugi ed il fatto che esso si sia sviluppato nella cornice di un comune ambiente lavorativo possono connotare in termini di gravità l’offesa all’onore patita dal coniuge e ad evidenziare, nell’altro, un atteggiamento di noncuranza e di assenza di rispetto nei confronti della dignità della coniuge predetto.»