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Parere
CORONAVIRUS E FORZA MAGGIORE NELLE OBBLIGAZIONI CONTRATTUALI
A cura di Matteo de Castello
La diffusione mondiale del virus COVID-19 nel nostro Paese, sta generando, tra l’altro, consistenti difficoltà di tipo commerciale, tecnico e logistico per le aziende presenti sul mercato, che rendono estremamente difficoltoso, se non impossibile, per le stesse, il puntuale adempimento delle reciproche obbligazioni contrattuali. Blocco temporaneo della circolazione, divieto di aggregazione, decreto “state a casa”; incidono pesantemente sull’adempimento delle obbligazioni.
Ci si chiede quindi se, ed in quali termini, la diffusione del coronavirus – e l’emissione dei provvedimenti governativi di tipo restrittivo assunti dal Governo per il contenimento della stessa – consentano di ritenere “giustificati” gli inadempimenti contrattuali da ciò determinati. In particolare, le aziende si interrogano se sussistano “impossibilità” e/o “cause di forza maggiore” alle quali fare riferimento per valutare la legittimità o meno degli inadempimenti agli impegni commerciali disciplinati dalla legge italiana e che trovano esecuzione sul territorio italiano e, conseguentemente, escludere responsabilità contrattuali dei singoli contraenti con il risarcimento dei danni che ne deriverebbe.
Il D.p.c.m. di questi giorni parla di possibilità di circolazione per “necessità lavorative”, ma la difficoltà economica potrebbe rendere insostenibile l’adempimento di un’obbligazione. Soccorre a tal fine l’istituto dell’impossibilità sopravvenuta, definitiva o temporanea.
Il Codice civile, ex art. 1218, esonera il debitore da responsabilità per inadempimento, qualora lo stesso sia in grado di provare che la mancata esecuzione o il ritardo nell’adempimento siano dovuti ad una impossibilità sorta per causa a lui non imputabile. È importante sottolineare come sia il debitore a dover dimostrare che l’inadempimento non è a lui imputabile; nello specifico, la Corte di Cassazione ha specificato la corretta ripartizione dell’onere della prova nella sentenza della “Cassazione civile, SS. UU., 30 ottobre 2001, n. 13533”.
Quindi due elementi chiave, che si intersecano tra di loro: l’impossibilità della prestazione e l’origine dell’impossibilità non imputabile a un comportamento del debitore. Questi due elementi devono necessariamente sussistere: il debitore, che abbia dato origine all’impossibilità con un suo comportamento doloso o colposo, sia esso attivo o passivo, non potrà ritenersi esonerato da responsabilità, ma sarà tenuto al risarcimento del danno ex art. 1218 c.c; contrariamente, se l’evento avrà origine da cause non imputabili, per esempio la forza maggiore, allora il debitore potrà avvalersi del rimedio.
Impossibilità della prestazione: quando potrà essere una prestazione definita “impossibile”? Innanzitutto, l’impossibilità dovrà essere “sopravvenuta”; un’impossibilità originaria determinerebbe l’impossibilità originaria di quell’obbligazione. Sarà impossibile allora quella prestazione in cui una situazione sopravvenuta non possa essere superata con un comportamento diligente, riferendoci in questo caso alla diligenza del buon padre di famiglia richiesta negli adempimenti ex art. 1176 c.c., che impone al debitore di fare tutto ciò che rientra nella sua disponibilità per soddisfare l’interesse del creditore al corretto adempimento. Il debitore, quindi, dovrà dimostrare che la prestazione porterebbe lo stesso ad andare oltre la sua disponibilità. Uno spunto ulteriore lo offre il secondo comma dell’art. 1176, che parla di diligenza tecnica, quindi una portata più ampia, per coloro che svolgono professioni tecniche, come l’avvocato o il medico, la cui soglia di disponibilità è quindi più elevata; non più quella più semplice del padre di famiglia, ma quella tecnica richiesta al professionista. In questi casi, l’obbligazione si estingue.
E l’impossibilità temporanea? Ebbene, quest’ultima rientra in quelle ipotesi per cui la prestazione è impossibile oggi, ma assolutamente richiedibile un domani (art.1256 c.c., co.2). Discrimine è l’interesse del creditore al compimento della prestazione. Un evento sopravvenuto potrebbe rendere la prestazione impossibile e quindi inutile, perché l’interesse del creditore sarebbe stato soddisfatto solo a determinate condizioni temporali; allo stesso modo, il creditore potrebbe necessitare del compimento della prestazione anche una volta terminata la causa che ha reso quella prestazione impossibile nel passato. Il venir meno dell’evento che ha reso una prestazione temporaneamente impossibile, comporta la giustificazione del ritardo nell’adempimento, ma l’obbligo in capo al debitore di provvedere il prima possibile.
Come possiamo definire la situazione creata dal Coronavirus, Covid-19? Certamente rientra in quelle ipotesi per cui la causa non è imputabile al debitore; sembra chiaro come si possa parlare di cause di forza maggiore, evento imprevedibile e straordinario. Il requisito di straordinarietà, secondo la Suprema Corte, ha carattere obiettivo, nel senso che deve trattarsi di un evento anomalo, misurabile e quantificabile sulla base di elementi quali la sua intensità e dimensione. L’imprevedibilità, invece, ha natura soggettiva, in quanto riguarda la capacità conoscitiva e la diligenza della parte contraente.
In conclusione, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione il debitore non è responsabile per il proprio inadempimento (art. 1218 c.c.), la sua obbligazione si estingue (art. 1256 c.c.) e il contratto si risolve di diritto.
Epidemie e decisioni delle autorità sanitarie, in quanto fenomeni imprevedibili e sopravvenuti, esterni alla volontà delle parti, generalmente possono rientrare nella categoria giuridica della forza maggiore.