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CONCESSIONE ABUSIVA DEL CREDITO: LE ULTIME DELLA CASSAZIONE
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 18610 del 30 giugno 2021, ha definito in maniera chiara la disciplina della concessione abusiva del credito, concentrandosi prevalentemente sulla responsabilità del finanziatore e sulla legittimazione ad agire del curatore fallimentare.
Definendo il ricorso abusivo al credito secondo il dettato dell’art. 218 l. fall. (art. 325 del nuovo codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza), vale a dire come il ricorso al credito da parte di una società «dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza», la Cass. individua lo speculare comportamento del soggetto finanziatore, vale a dire colui che conceda o continui a concedere, incautamente, credito in favore dell’imprenditore che versi in stato d’insolvenza o comunque in crisi conclamata.
Quest’ultimo aspetto rileva in merito alla responsabilità del finanziatore. Questo è tenuto infatti a rispettare i principi di c.d. sana e corretta gestione, verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate. La fattispecie, così considerata, viene integrata da alcune particolari disposizioni, su tutte la disciplina primaria e secondaria di settore e gli accordi internazionali sulla sana e corretta gestione e la regola generale ex art. 1176, secondo comma, c.c., per la quale «nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riferimento alla natura dell’attività esercitata.» Come sottolineato dalla Cassazione, nella normativa che regola il sistema bancario vengono imposti comportamenti in parte tipizzati, la cui violazione può costituire culpa in omittendo, potendosi così ravvisare la violazione dei doveri gravanti sul soggetto “banca” a causa del proprio status.
La società e i terzi, quindi, potrebbero ritenere responsabile il soggetto finanziatore per la concessione o la reiterata concessione del credito. Il comportamento tipizzato, in tal senso, è evidente: si tratta della condotta della banca, dolosa o colposa, diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore in stato di dissesto, così cagionando danno al patrimonio di questo, un danno pari all’aggravamento del dissesto, o delle perdite generate dalle nuove operazioni favorite. È chiaro, infatti, come da tale condotta potrebbe conseguire una diminuita consistenza del patrimonio del soggetto finanziato e l’aggravamento delle perdite favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa.
Secondo la Cassazione, il confine tra il finanziamento “abusivo” e quello “meritevole” si fonda sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale. Sarà compito del giudice di merito individuare lo spazio ammissibile per il finanziamento lecito, allorché, pur concesso in presenza di una situazione di difficoltà economico finanziaria, sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento. In concreto, quindi, non rileva il fatto in sé che l’impresa finanziata sia in stato di crisi o d’insolvenza, fatto pur noto al finanziatore; quel che rileva è unicamente l’insussistenza di fondate prospettive, in base a ragionevolezza e ad una valutazione ex ante, di superamento della crisi. In merito, un criterio di diritto positivo sulla ragionevolezza e fattibilità del piano aziendale può essere rinvenuto nell’art. 67 l. fall., che menziona il piano «che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria.»
Per quanto riguarda la legittimazione ad agire del curatore fallimentare, questo può agire contro la banca per il danno causato alla società attraverso la concessione abusiva del credito in caso di fallimento. Tale legittimazione viene assunta a medesimo titolo per il quale avrebbe potuto agire l’imprenditore danneggiato. Il curatore, inoltre, potrà agire per il pregiudizio all’intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740.
Il titolo di responsabilità del finanziatore verso l’impresa per concessione abusiva del credito, infine, viene considerato di natura precontrattuale ex art. 1337 c.c., in quanto la banca avrà contattato senza il rispetto delle prescrizioni generali e speciali, disattendendo gli obblighi di un prudente e accorto operatore professionale. Al contrario, se la banca proseguisse un finanziamento in corso, si tratterebbe di responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 c.c. stante, in entrambi i casi, la violazione delle citate regole generali ex 1175 e 1176, secondo comma.