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LA CESSIONE DA BANCHE VENETE A INTESA: LA SENTENZA 225/2022 CORTE COSTITUZIONALE E LE IPOTESI DELL’ART. 3 DEL D.L. 99/17 ANCORA DUBBIE
Nel corso di un giudizio civile promosso per accertare la responsabilità di Intesa Sanpaolo spa, quale cessionaria da Banca Popolare di Vicenza spa, per le operazioni di acquisto di azioni in violazione degli obblighi informativi prima della cessione da Banche Venete a Intesa, il Tribunale Civile di Firenze aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, fra gli altri, dell’art. 3 del D.L. 99/2017, con denuncia del contrasto con gli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45 e 47 Cost., nonché con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU e con l’art. 17 CDFUE.
Con sentenza n. 225 del 7.11.2022, la Corte Costituzionale, pur dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale fiorentino, ritenendole avulse dal giudizio civile nel quale erano state sollevate e rivolte a contestare le politiche di governo, ha voluto trattare le ipotesi di cui all’art. 3 del D.L. 99/17, indicando quali ipotesi escludono la responsabilità ex D.L 99/17 di Intesa Sanpaolo spa, quale cessionaria dalle Banche Venete.
La Corte ha deciso il ricorso per l’inammissibilità delle questioni sollevate, sul presupposto che il D.L. 99/17 era volto ad attuare una manovra di «salvataggio pubblico» di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa, le due banche venete sottoposte a liquidazione coatta amministrativa, sul presupposto della sussistenza del «dissesto o rischio di dissesto», come accertato dalla Banca centrale europea, ai sensi dell’art. 32, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa all’istituzione di un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento.
In particolare, ad avviso della Corte, il Governo ha ritenuto che, in assenza di misure pubbliche di sostegno, la sottoposizione delle due Banche venete a liquidazione coatta amministrativa avrebbe comportato la distruzione del valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari, che non sono protetti né preferiti, e avrebbe determinato una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale, nonché occupazionali. Esigenze, queste, che rendevano necessaria l’adozione di disposizioni volte a consentire l’ordinato svolgimento delle operazioni di fuoriuscita dal mercato delle banche ed evitare un grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle Banche in questione.
La pronuncia di inammissibilità, non ha però impedito alla Corte di trattare minuziosamente tutte le ipotesi ricomprese dal D.L. 99/17 per l’esclusione della responsabilità della cessionaria, prendendo a riferimento, quale argine alla responsabilità di Intesa nei confronti di azionisti e obbligazionisti subordinati delle banche cedute, derivanti dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, l’espressione “debiti restitutori o risarcitori” esistenti al momento della cessione, precisando che la nozione di debito deve intendersi come debito preesistente e consolidato al momento della cessione.
Se così è, la Corte Costituzionale ha fatto intendere che la carenza di legittimazione passiva di Intesa non possa considerarsi fondata sull’art. 3 del D.L. 99/17, in tutte quelle ipotesi in cui, al momento della cessione, non è ancora esistente e consolidato nei confronti della Banca ceduta alcun debito restitutorio o risarcitorio a favore del Cliente.
Fra queste ipotesi rientrano allora certamente i casi in cui, al momento della cessione, la causa promossa dal Cliente nei confronti della Banca veneta liquidata, prima della cessione, per la pretesa restitutoria e risarcitoria fondata su condotte di misselling nella commercializzazione di azioni delle Banche Venete, sia stata pendente in primo grado e non ancora giunta ad alcuna decisione di condanna. Più discutibile, invece, se possa invocarsi la mancata operatività della carenza di legittimazione passiva di Intesa ex lege in quei casi in cui vi sia già una sentenza (di 1° grado o 2° grado) non ancora passata in giudicato (indipendentemente dal fatto se sia corrente il giudizio di impugnazione o il termine per impugnare), anche se il riferimento della Corte Costituzionale a “debito consolidato”, lascia intendere che Intesa non possa invocare il D.L. 99/17 neppure in questi casi. Indiscutibile, invece, la carenza di legittimazione passiva ex lege di Intesa in tutti quei casi in cui, al momento della cessione, la sentenza di condanna della Banca veneta è passata in giudicato, con debito restitutorio o risarcitorio, quindi, più che mai consolidato.
Naturalmente Intesa potrà eccepire ugualmente la propria carenza di legittimazione passiva, anche in quei contenziosi ancora pendenti al momento della cessione in cui non opera l’esclusione ex lege di cui al D.L. 99/17, allegando le clausole di esclusione dalle cessioni di tutti i contenziosi pendenti fondati sulle condotte illecite nella commercializzazione di azioni delle Banche Venete, contenute nei contratti notarili di cessione di quote e nei successivi accordi, ma con tutti i limiti e le debolezze che un’esclusione per volontà di cedente e cessionario ha nei confronti del terzo ceduto.