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Parere
IMPOSTA DI REGISTRO: ILLEGITTIMA LA TASSAZIONE DELL’ATTO DI RICONOSCIMENTO DI DEBITO UTILIZZATO NEL PROCEDIMENTO MONITORIO AL SOLO SCOPO DI OTTENERE LA PROVVISORIA ESECUTORIETA’ DEL DECRETO INGIUNTIVO.
Gli Uffici tributari ritengono a volte di tassare, ai fini dell’imposta di registro, non solo il decreto ingiuntivo, ma anche il “rapporto sottostante” tra le parti, espresso attraverso il riconoscimento di debito, utilizzato nel procedimento monitorio. In buona sostanza l’Ufficio, ritiene così che oggetto di pagamento deve essere sia il decreto ingiuntivo emesso, che il rapporto negoziale e/o semplicemente di fatto che, sicuramente, era intercorso tra le parti e che viene prodotto nel ricorso per decreto ingiuntivo. In certi casi l’Ufficio eroga sanzioni (tra il 100 e il 200%) per la ritardata registrazione e calcola interessi.
In realtà l’atto di ricognizione di debito, conformemente a quanto precisato dalla Suprema Consulta (cfr. per tutte la sentenza n. 24107/2014) deve scontare la tassa di registro solo se utilizzato allo scopo diretto di ottenere il credito (e quindi unico documento da cui desumere l’esistenza del credito), mentre non la deve scontare quando il credito è fondato su fatture regolarmente registrate (tanto più oggi con la fatturazione elettronica), e l’atto con il quale il debitore ha riconosciuto il debito viene allegato al decreto ingiuntivo al solo fine di comprovare il diritto fatto valere per la concessione dell’immediata esecutività ex art. 642 2° comma c.p.c. In questi casi – che sono la stragrande maggioranza – non è quindi corretto applicare la tassazione ex art. 22 DPR 131/1986. La mera enunciazione di un atto non lo può certo assoggettare all’imposta di registro e, dunque, se risulta pienamente legittima l’applicazione al decreto ingiuntivo dell’imposta di registro ex art. 37 DPR 131/1986 (che prevede l’assoggettamento all’imposta degli atti dell’autorità giudiziaria di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio), la tassazione di altro, rispetto all’atto giudiziario cui accede, costituisce un’illegittima duplicazione d’imposta. Quando il riconoscimento del debito è usato al solo scopo ex art. 642 2° comma c.p.c. non produce alcun effetto innovativo o estintivo dell’obbligazione cui si riferisce, ma elimina dubbi e contestazioni, attraverso una dichiarazione di scienza rilevante esclusivamente sotto il profilo probatorio. E’ solo una mera dichiarazione di scienza avente natura latu sensu confessoria e, pertanto, svincolata da qualsivoglia connotato volontaristico teso a creare, modificare o estinguere situazioni giuridiche degne di tassazione.
Peraltro, qualora comunque si voglia tassare anche l’atto utilizzato solo ai fini dell’art. 642 2° comma c.p.c., deve in ogni caso trovare applicazione il principio di alternatività tra Iva ed imposta di registro stabilito dagli articoli 5 e 40 DPR 131/1986 (“per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazione di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa”), in linea con consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. per tutte Cassazione Civile Sent. Sez. 5 Num. 24804 Anno 2014) ribadito da ultimo dalla recente ordinanza della Cassazione n. 481/2018. Detta pronuncia, dopo aver qualificato la ricognizione del debito alla stregua di “una mera dichiarazione di scienza in relazione alla sussistenza di un rapporto preesistente nascente da pregressi contratti stipulati tra le parti, per cui la medesima non ha creato una nuova obbligazione, ma semplicemente riconosciuto ex post gli effetti economici di quegli atti”, ribadisce il noto principio in forza del quale la ricognizione del debito deve essere assoggettata ad imposizione in misura fissa laddove abbia ad oggetto una prestazione di servizi soggetta ad IVA ai sensi dell’art. 40 TUR. Pertanto, ai sensi dell’art.1 lett. b) della Tariffa Parte Seconda DPR 131/1986 l’aliquota da scontare per l’atto ricognitivo relativo comunque a cessione di beni o prestazione di servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto, è pari ad € 200,00.
Mai e poi mai vanno comunque applicate sanzioni, perché comunque la scrittura ricognitiva di debito sconta l’imposta in caso d’uso. In questa ipotesi la richiesta di registrazione non si configura quale obbligo ma onere, affinché si possa trarne interesse dal suo “uso”. Il “caso d’uso” si ha quando l’atto è depositato presso le cancellerie giudiziarie, come nel caso in allegato al ricorso per decreto ingiuntivo, e viene applicata l’imposta nel momento in cui l’atto viene prelevato al fine di svolgere tramite esso un’attività amministrativa. Conseguentemente se per gli atti soggetti a registrazione in termine fisso sarebbe applicabile, oltre all’imposta, anche la sanzione per mancata registrazione, gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso, per i quali il legislatore non aveva previsto alcun obbligo di registrazione al momento della loro formazione, sconterebbero solo l’imposta. Accogliendo una tale lettura, che appare coerente col dato testuale e con la ratio anche dell’art. 22 del DPR 131/1986, deve escludersi che la locuzione “atti non registrati” contenuta nel menzionato articolo possa riferirsi ad atti che non siano stati registrati perché al momento della loro formazione non v’era o non era ancora sorto l’obbligo di registrazione.