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CESSIONE DI RAMO D’AZIENDA E RILEVANZA FISCALE DELL’AVVIAMENTO NEGATIVO NELLA DETERMINAZIONE DEL VALORE DI CESSIONE
Con la sentenza 17 gennaio 2018 n°979 la Corte di Cassazione risolve la questione se l’avviamento, nel caso di cessione del ramo di azienda, costituisca o meno, ai fini dell’imposta di registro, una componente del valore aziendale anche se negativo perché correlato ad una sfavorevole aspettativa reddituale del compendio aziendale oggetto del trasferimento.
E statuisce che nella determinazione del valore venale del ramo d’azienda trasferita, ai fini dell’imposta di registro, l’avviamento – in quanto qualità aziendale intrinseca richiamata dall’art. 51 4° comma DPR 131/86 – rileva non solo se positivo ma anche se negativo sul presupposto che, in quanto proprio negativo, ha determinato la pattuizione tra le parti di un prezzo di cessione inferiore al valore patrimoniale netto dei cespiti aziendali, perché scontato in ragione della fondata previsione di perdite future e del solo successivo recupero di redditività dell’azienda stessa.
L’assunto trova fondamento nella consapevolezza che, per la determinazione della base imponibile dell’imposta di registro, l’esistenza di un avviamento incrementativo del valore dell’azienda trasferita ben può coesistere con la presenza di perdite d’esercizio negli anni immediatamente precedenti o successivi al trasferimento stesso. E tale base imponibile può essere determinata, in presenza di avviamento, in forza del metodo patrimoniale complesso che valorizza tutti i fattori che comportano plusvalenza da beni immateriali costituenti, nel loro complesso, l’avviamento stesso.
Pertanto l’esistenza di un avviamento negativo, inteso come grandezza contabile che esprime l’inidoneità di un compendio aziendale a produrre futuri redditi adeguati e che si traduce, quindi, in una decurtazione del prezzo necessaria per scontare attese perdite o future mancate congrue remunerazioni, assume rilevanza fiscale nella determinazione del valore di cessione d’azienda.