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Rinnovazione di CTU, tra economia processuale e diritto alla difesa

RINNOVAZIONE DI CTU, TRA ECONOMIA PROCESSUALE E DIRITTO ALLA DIFESA

 

Tra i diritti di cui dispongono le parti all’interno del processo civile rientra la richiesta di rinnovazione della CTU, da formulare, pena l’inammissibilità della riproposizione anche nei successivi gradi di giudizio, entro l’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado. La richiesta, una volta presentata, dovrà essere valutata dal giudice, che avrà il potere discrezionale di decidere il rinnovo della consulenza o meno, non sussistendo alcun obbligo.

Proprio in merito a quest’ultimo punto è bene fare chiarezza, sfruttando le recenti pronunce della Corte di Cassazione. Non sussistendo obbligo in capo al giudice circa la rinnovazione della consulenza, questa soggiace anche al rispetto dei principi del processo, tra i quali rientrano naturalmente sia la ragionevole durata del processo sia il principio del giusto processo e del contraddittorio. Il giudice, di fronte ad una richiesta di rinnovazione, ha sì il dovere di valutare se e quanto la nuova consulenza peserà sull’aspetto dell’economia processuale; ma avrà altresì il dovere di garantire alle parti il rispetto dei diritti costituzionali, tra cui il diritto alla difesa.

L’ordinanza n. 2832/21 della Cassazione fa luce sulla questione, inserendo la valutazione sulla richiesta di rinnovazione della consulenza all’interno di un preciso bilanciamento tra principi costituzionali, in particolare la ragionevole durata del processo e il diritto alla difesa. Secondo la Corte ogni giurisdizione è destinata ad attuarsi mediante il giusto processo, del quale la legge deve assicurare la “ragionevole durata”; la tempestività del processo allora deve essere garantita se “ragionevole”, quindi se concepita non come valore assoluto, ma anche in rapporto alle altre tutele costituzionali, su tutte il diritto delle parti ad agire e difendersi in giudizio, diritto garantito dall’articolo 24 della Costituzione. Il giusto processo civile, richiamando il pensiero della Corte Costituzionale (C. cost. 220/1986), «viene celebrato non per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipino, ma per rendere pronuncia di merito riscrivendo chi ha ragione e chi ha torto».

Queste considerazioni vengono portate dalla Corte Suprema, nell’ordinanza n. 2832/2021 in esame, per giungere alle conclusioni circa la fattispecie concreta, che vedeva una parte lamentare il diniego della Corte territoriale contro la richiesta di rinnovazione della consulenza, diniego che si fondava, secondo la parte, solamente su una necessità di economia processuale. Secondo la Corte, ove un giudice motivi il rigetto della richiesta di supplemento di CTU soltanto sul rilievo della contrarietà ai principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, tale rigetto meriterebbe censura, perché mancherebbe di dare considerazioni ai principi del diritto di difesa e del giusto processo. Se ne deduce, quindi, lo schema di valutazione: la rinnovazione della consulenza, sebbene vada contro alla tempestività della risoluzione del processo, non può essere negata per il solo assunto della mancata economia processuale, dovendo soppesare altresì la necessità che tutte le parti del processo possano esercitare correttamente i loro diritti costituzionali.

Contrariamente e infine, sottolinea la Corte, non può essere messa in dubbio la valutazione discrezionale del giudice che non ritenga di disporre la rinnovazione in ragione di un apprezzamento o di una condivisione della consulenza; in questo caso, infatti, non sono considerati violati i principi richiamati.