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Società partecipata dalle amministrazioni: cessazione ex lege anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 1 comma 569 bis Legge 147/2013

Parere reso a privato                                                                        

SOCIETA’ PARTECIPATA DALLE AMMINISTRAZIONI: CESSAZIONE EX LEGE ANCHE DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DELL’ART. 1 COMMA 569 BIS LEGGE 147/2013

L’articolo 3 comma 27 della legge n. 244/07 recita testualmente che al fine di tutelare la concorrenza ed il mercato le amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 D.Lgs 165/01 non possono mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in società aventi per oggetto le attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Il comma 29 dello stesso articolo ha assegnato a dette amministrazioni un termine di 18 mesi, poi fissato in 36 mesi, per operare tale dismissione.

Successivamente il Legislatore così interveniva in materia:

  • con l’art. 1 comma 569 della Legge 147/2013 (Legge di Stabilità 2014), come poi modificato dall’art. 2 della Legge 68/14, mediante il quale non solo prorogava il termine cui all’art. 3 comma 29 della Legge 244/07 di ulteriori dodici mesi, facendolo coincidere al 31.12.2014, ma, colmando una lacuna della precedente normativa, precisava che, nel caso in cui la partecipazione vietata non fosse ancora stata alienata nei tempi stabiliti e prorogati, la partecipazione non alienata cessasse comunque ad ogni effetto, obbligando la società partecipata, entro 12 mesi successivi alla cessazione ipso iure – e quindi 31 dicembre 2015 – a liquidare in denaro il valore della quota del socio cessato in base agli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2437 ter 2° comma c.c.;
  • con l’art. 1 comma 611 e 612 della legge 23.12.2014 n. 190, mediante i quali assegnava alle citate amministrazioni la facoltà di avviare un processo di razionalizzazione per il mantenimento, la dismissione o la riduzione delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, dettando – in via esemplificativa e non tassativa – alcuni criteri utili ad avviare tale processo;
  • con l’art. 7 comma 8 bis della Legge 125/2015, entrato in vigore il 15 agosto 2015, mediante il quale introduceva nell’art. 1 della Legge di Stabilità 2014 il comma 569 bis, disponendo che l’obbligo di cedere le partecipazioni, anche di minoranza, nelle società aventi per oggetto le attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, potesse non applicarsi a quelle amministrazioni sopra descritte che, mediante l’approvazione di apposito piano operativo di razionalizzazione, abbiano deliberato di mantenere la partecipazione societaria in società ed altri organismi aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi ritenendole indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche limitatamente ad alcune attività o rami d’impresa.

Ci si chiede allora quale impatto possano avere, in un contesto generale, tali successivi interventi del Legislatore sulle procedure amministrative che le amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 D.Lgs 165/01 hanno posto in essere in ossequio al divieto di cui all’originario art. 3 comma 27 legge 244/2007, per la dismissione delle proprie partecipazioni societarie.

A tal fine è opportuno in primis ricordare che il presupposto affinché la partecipazione societaria sia dismessa dall’amministrazione ex art. 3 comma 27 legge 244/2007 è quello della partecipazione in società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali proprie dell’amministrazione partecipante.

L’amministrazione non ha alcun potere di valutazione di conformità o meno della propria partecipazione societaria al perseguimento delle finalità istituzionali, poiché, con riferimento ai servizi di interesse generale, tale valutazione è stata operata a monte dal Legislatore, come più volte accertato esplicitamente dalla Corte dei Conti (cfr. per tutti la fondamentale decisione della Corte dei Conti, Sez. Contr. Lombardia 27.11.2012, n. 506/12 PAR), e, implicitamente, addirittura dalla Corte Costituzionale, che ha riconosciuto che la valutazione di una tale conformità deve essere compiuta dall’amministrazione con riferimento alle società aventi ad oggetto la produzione di beni e servizi sul mercato diverse dai servizi pubblici locali (vedi Corte Costituzionale Sentenza n.148/09).

Come hanno sottolineato anche i Giudici dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (si v. Cons. St., Ad plen., n. 10/2011) il disfavore del legislatore nei confronti del mantenimento di partecipazioni societarie delle amministrazioni – fra cui le Camere di Commercio – riguarda essenzialmente “società commerciali con scopo lucrativo, il cui campo di attività esuli dall’ambito delle relative finalità istituzionali dell’ente partecipante, né risulti coperto da disposizioni normative di specie”.

In conclusione, la valutazione di stretta necessarietà, da compiersi caso per caso, comporta il raffronto tra l’attività che costituisce l’oggetto sociale e le attività di competenza dell’ente locale. Per individuare tali attività di competenza degli enti locali, occorre aver riguardo alle previsioni di legge, alla struttura del bilancio dell’ente, e precisamente alle funzioni – che individuano in modo articolato le spese in relazione alla tipologia delle attività espletate – nonché ai servizi che individuano le attività che fanno capo alle varie compagini organizzative dell’ente -, allo statuto e alle linee programmatiche di mandato (si v. Corte dei conti, Sez. Contr. Regione Veneto, 15 gennaio 2009, parere n. 5).

Ne consegue che, ogni qual volta le attività societarie siano riconducibili alle competenze dell’amministrazione comunale stabilite dalla legge, l’ente locale non può che prendere atto della sussistenza di detta “necessaria strumentalità” rispetto alle finalità istituzionali, e viceversa, atteso sempre che non è configurabile in capo all’amministrazione una valutazione discrezionale amministrativa, in virtù della quale il medesimo ente possa pervenire a qualificare come “strumentale” o non “strumentale” la partecipazione societaria detenuta.

Una volta appurato, in base ai criteri indicati, che l’attività svolta dalla società partecipata appartiene alla categoria di attività per le quali la legge ha previsto la dismissione, l’organo di governo dell’amministrazione ha il solo obbligo di legge di darne evidenza, ma non ha nessuna discrezionalità al riguardo. Detta ricognizione risulterebbe obbligatoria al solo fine di procedere all’alienazione mediante procedura di evidenza pubblica, ai sensi dell’art. 1, comma 569, l. n. 147/2013, ma non certo al fine di una valutazione discrezionale sulla conformità o meno alle proprie finalità della partecipazione.

Se la partecipazione societaria contraria alla legge non è stata alienata entro i termini di legge, detta partecipazione, ai sensi del descritto comma 569 deve considerarsi cessata ex lege e l’amministrazione ha il diritto ad ottenere la liquidazione in denaro della quota o partecipazione detenuta.

Non ha certo mutato tale stato di fatto l’intervento del Legislatore operato con l’art. 7 comma 8 bis della L. 125/2015 che ha introdotto il descritto comma 569 bis all’art. 1 della legge 147/2013.

La regola dettata in tale comma bis è solo apparentemente in contrasto con il comma 569 dell’art. 1 della medesima legge, in quanto si limita a fornire un interpretazione di detto comma, chiarendo che la disposizione ivi contenuta –cessazione ex lege delle partecipazioni societarie non alienate –  non si applica a quelle amministrazioni che, sempre ai sensi del citato art. 1 commi 611 e 612 L. 190/2014, abbiano mantenuto la propria partecipazione societaria in società e/o altri organismi aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali mediante approvazione di un piano operativo di razionalizzazione.

Quand’anche si volesse forzare il principio temporale testé enunciato, comunque il descritto comma 569 bis è applicabile solo a quelle amministrazioni che abbiano voluto mantenere la propria partecipazione societaria in società e/o altri organismi aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi ritenuti indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, in deroga al dettato legislativo di cui all’art. 1 comma 27 legge 244/07 mediante approvazione di un piano operativo di razionalizzazione.

L’unico problema interpretativo posto dal descritto comma 569 bis è di carattere deliberativo e riguarda la previsione secondo la quale “la competenza relativa all’approvazione del provvedimento di cessazione della partecipazione societaria, appartiene in ogni caso all’assemblea dei soci”. Sembrerebbe che il Legislatore dell’agosto 2015 abbia voluto sottrarre alla competenza dell’Organo Amministrativo la deliberazione sulla dismissione delle partecipazioni societarie, assegnandola all’assemblea dei soci. In realtà tale previsione sembra comunque sempre collegata alla previsione di un contrario piano operativo di razionalizzazione, per cui pare corretto ritenere che la competenza dell’assemblea dei soci valga solo in quei casi in cui vi sia da cassare una preliminare approvazione del piano di razionalizzazione da parte dell’Organo amministrativo.