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Luci e vedute: il criterio distintivo secondo la Cassazione

LUCI E VEDUTE: IL CRITERIO DISTINTIVO SECONDO LA CASSAZIONE

Le aperture sul fondo del vicino, vale a dire le “luci” e le “vedute”, istituti disciplinati dall’art. 900 c.c., assumono particolare rilevanza nei rapporti col vicinato. Le differenze tra le due aperture sono le seguenti: le “luci” sono aperture che consentono il passaggio di luce ed aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo altrui; le “vedute” sono finestre che consentono di affacciarsi e guardare di fronte, di lato e in obliquo. Se ne ricava, quindi, come la differenza principale consista nella possibilità di guardare o meno sul fondo del vicino.

Luci e vedute rilevano specialmente per quanto riguarda i rimedi esperibili contro l’apertura del vicino: nel caso delle luci, infatti, il codice parla solamente di regolarità ed irregolarità, per cui il proprietario del fondo vicino può agire giudizialmente per ottenere soltanto la regolarizzazione di quella determinata apertura, ma non, per esempio, la chiusura; le vedute, al contrario, garantendo al proprietario una visione ampia del fondo vicino, possono essere sottoposte a chiusura o arretramento. La veduta, inoltre, a differenza della luce è un diritto che può dar luogo a servitù (c.c. servitù di veduta), che può costituirsi anche per usucapione.

Una recente Corte di Cassazione, ordinanza n. 25864/2021, è intervenuta riguardo alla differenza, entrando ancor più nello specifico. Richiamando legge e giurisprudenza, la Corte sottolinea come il diritto di praticare aperture in direzione del fondo vicino nasce allo scopo di attingere luce ed aria e l’inosservanza delle distanze dettate dalla legge (in particolare, art 905 c.c.) comporta l’arretramento o la chiusura in caso di vedute (salvo che non costituisca diritto di servitù), mentre opera la sola regolarizzazione per le luci. La ragione è la seguente: la disciplina in tema di vedute mira a tutelare il proprietario dall’indiscrezione del vicino impedendogli di costituire aperture a meno di un metro e mezzo di distanza, mentre quella in tema di luci regola il diritto del proprietario ad effettuare sul proprio fabbricato aperture che gli permettano di attingere luce ed aria, stabilendo misure di altezza e sicurezza alla cui sussistenza è condizionata la correlata limitazione del diritto del vicino.

La Corte si concentra infine su una fattispecie concreta, vale a dire un’apertura munita di inferriata (tipicamente una luce) attraverso cui, «con una manovra di per sé poco agevole per una persona di normale conformazione» il proprietario riesca a guarda sul fondo del vicino. Secondo la Corte non rileva la finalità o l’intenzione dell’autore, poiché un’apertura che non consenta di per sé una visione sul fondo del vicino e che presenti un’inferriata o una grata rappresenta la tipica “luce”; conseguentemente, quindi, il proprietario del fondo attiguo può chiederne la regolarizzazione, ma non la chiusura.