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DEINDICIZZAZIONE E CANCELLAZIONE DI COPIA CACHE: LA CASSAZIONE PRONUNCIA SUL DIRITTO ALL’OBLIO
La Cassazione si è recentemente pronunciata su una interessante questione inerente al diritto all’oblio (Cass. civ. Sez. I, sentenza n. 3952/2022). La vicenda riguardava la richiesta di un privato di cancellazione di una notizia, ormai divenuta estranea al diritto di cronaca, attraverso la “deindicizzazione” dell’URL di riferimento alla società di gestione relativa, ottenendo la pronuncia favorevole sia in primo che in secondo grado.
La Suprema Corte è intervenuta attraverso un riepilogo della normativa in tema di diritto all’oblio e, soprattutto, attraverso il chiarimento dei limiti entro cui le autorità debbono operare. Innanzitutto, con “deindicizzazione” ci si riferisce ad una delle tre declinazioni di diritto all’oblio, più precisamente quell’attività che consente di escludere che il nome di un soggetto compaia tra i risultati di un motore di ricerca in esito ad una interrogazione del medesimo; in pratica, deindicizzando si elimina una particolare modalità di ricerca del dato, il quale rimane presente in rete e continua ad essere raggiungibile, ma con una ricerca più complessa e lunga. In pratica, la deindicizzazione ha riguardo all’identità digitale del soggetto, poiché l’elenco dei risultati che compaiono in corrispondenza di una ricerca della persona può fornire una rappresentazione dell’identità che quella persona ha su internet. Eliminando le ricerche immediate e la corrispondenza ricerca-risultato, si preverrà questo problema. Si parla, infatti, di “diritto a non essere trovati facilmente in rete” (c.d. right not to be found easily).
La natura di questa declinazione del diritto all’oblio amplia il campo delle considerazioni ai diritti fondamentali, incidendo in concreto sul diritto alla vita privata e alla protezione dei dati personali; al contempo, dato che la soppressione dei link dall’elenco dei risultati ottenuti da una ricerca potrebbe avere, a seconda dell’informazione in questione, ripercussione sull’interesse legittimo di chi naviga su internet ad ottenere le informazioni che cerca, il processo di deindicizzazione deve necessariamente fondare le proprie logiche sul bilanciamento tra i diversi interessi in gioco, un equilibrio tra i diritti fondamentali e il diritto alla libertà di informazione del consumatore di rete.
Un bilanciamento, quindi, tra l’interesse del singolo ad essere dimenticato e quello della collettività ad essere informata, cui si correla quello dei media ad informare. Ciò comporta un preciso obbligo in capo al giudice di merito investito della vicenda: dovrà essere valutato l’interesse pubblico, concreto ed attuale, alla menzione degli elementi informativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende sono stati protagonisti. E, dato che la totale cancellazione dei risultati potrebbe compromettere troppo il diritto all’informazione rispetto al diritto all’oblio, la deindicizzazione si presta perfettamente a punto di incontro: essa integra, infatti, sia la soluzione per l’interessato che manifesti la volontà di essere dimenticato, sia quella del pubblico a non perdere completamente la notizia, dato che essa rimane, pur con modalità di ricerca meno immediate, presente nella rete. Attraverso la deindicizzazione si realizza, infatti, «il diritto dell’interessato a che la questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome».
Di diverso conto, invece, appare l’eventuale e successiva operazione di cancellazione dalla “copia cache” delle pagine internet accessibili attraverso gli URL relativo alla vicenda deindicizzata. La copia cache, nello specifico, consente al motore di ricerca di fornire una risposta più veloce ed efficiente alla ricerca posta dall’utente attraverso una o più parole chiave. La cancellazione, quindi, consentirebbe di precludere al motore di ricerca di avvalersi di uno strumento in grado di indicizzare i contenuti verso l’oggetto della ricerca effettuata dal pubblico. La combinazione di deindicizzazione e di cancellazione della copia cache, quindi, permetterebbe alla vicenda di terminare ancora più nell’oblio, garantendo così il diritto dell’interessato ma sopprimendo quello all’informazione.
Secondo la Corte Suprema il discorso relativo alla copia cache è differente rispetto a quello della deindicizzazione. Benché a fronte della richiesta di cancellazione il giudice di merito debba comunque effettuare un bilanciamento tra interessi contrapposti, dovrà tenere conto del risultato perfettamente equilibrato garantito dalla deindicizzazione e di come la cancellazione della copia cache, invece, si presti a comprimere troppo ampiamente il diritto all’informazione, eliminando la residua capacità del motore di ricerca di indirizzare all’informazione richiesta. Nella decisione, quindi, dovrà considerarsi come «la cancellazione delle copie cache relative ad una informazione accessibile attraverso il motore di ricerca, in quanto incidente sulla capacità da parte del detto motore di ricerca di fornire una risposta all’interrogazione posta dall’utente attraverso una o più parole chiave, non consegue alla constatazione della sussistenza delle condizioni per la deindicizzazione del dato a partire dal nome della persona, ma esige una ponderazione del diritto all’oblio dell’interessato col diritto avente ad oggetto la diffusione e l’acquisizione dell’informazione, relativa al fatto nel suo complesso, attraverso parole chiave anche diverse dal nome della persona.»