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Clausola di foro asimmetrico e abuso del diritto

CLAUSOLA DI FORO ASIMMETRICO E ABUSO DEL DIRITTO

Il c.d. foro asimmetrico identifica quella clausola (contenuta anche nei contratti bancari) ai sensi della quale, in caso di controversie giudiziali, una parte – quando non consumatore – può adire un foro solo, mentre l’altra parte ha la facoltà di ricorrere ad una pluralità di fori alternativi, anche i più lontani.

La clausola non è equilibrata, e la giurisprudenza ha cominciato da poco ad occuparsene in rapporto ai principi di buona fede contrattuale e dell’abuso del diritto.

E’ indiscutibile, infatti, che alla luce delle disposizioni di cui agli articoli 28 e 29 c.p.c., l’autonomia negoziale delle parti gode di ampia discrezionalità in materia di deroga della competenza, purché però non venga utilizzata per rendere più difficile l’accesso alla giustizia, il che integrerebbe senz’altro l’abuso di una legittima facoltà processuale.

Tale abuso del diritto processuale deve essere sanzionato innanzitutto con la declaratoria di inefficacia della clausola, sul presupposto che reca giovamento solo ad una parte, quella peraltro più forte, o comunque per violazione delle regole di correttezza, trasparenza ed equità che, in ogni caso, permeano le clausole negoziali anche quando il soggetto non è consumatore, nonché il principio di buona fede che ispira l’esecuzione del contratto.

L’agevolare la tutela dei diritti è la ratio che ispira l’accordo con il quale le parti derogano la competenza territoriale. Di conseguenza, laddove tale causa non è proporzionalmente ripartita e lo squilibrio è posto integralmente a carico del solo Cliente, l’operazione negoziale è inefficace integrando un abuso del diritto processuale.

Il combinato disposto del principio di buona fede ex art. 1175 c.c. e del principio solidaristico sancito ex art. 2 Cost. opera nel senso di sancire che non esistano diritti soggettivi privi di limiti. Pertanto, oltre ai limiti tipici previsti dalla legge, l’esercizio di qualsiasi diritto incontra anche il limite generale dato dal divieto di abuso.

E costituisce abuso del diritto non solo allorché un soggetto eserciti un diritto riconosciuto dall’ordinamento con lo scopo mirato di ledere la sfera giuridica di altro soggetto, ma anche quando il titolare di un diritto, pur con lo scopo di realizzare il proprio interesse, opti per una modalità di soddisfazione dello stesso particolarmente gravosa per la controparte, potendo pervenire al medesimo esito satisfattorio attraverso strumenti alternativi che risultino meno onerosi per il destinatario della pretesa.

Il divieto di abuso del diritto costituisce quindi una regola generale, perché riguarda qualsiasi posizione soggettiva, il compimento di qualsiasi negozio, tanto le condotte sostanziali quanto le condotte processuali. La clausola in oggetto fa sorgere la necessità di meglio analizzare le ‘asimmetrie’ di potere contrattuale nonché i conseguenti effetti distorsivi dell’autonomia tra le parti, anche alla luce di alcune pronunce giurisprudenziali, che ne hanno sancito l’efficacia, quantomeno superficiali. La presenza di asimmetrie rende il contratto sbilanciato ma non dal punto di vista del contenuto né di uno squilibrio nel rapporto di valore tra prestazione e contro-prestazione. Invero, il riferimento è alle (sopra accennate) posizioni, rispettivamente di ‘forza’ e di ‘debolezza’, in cui le parti giungono a concludere un contratto.

E’ vero che non tutte le regole previste per il consumatore possono essere applicate all’imprenditore in posizione di debolezza contrattuale, ma è in ogni caso evidente il (sempre crescente) ruolo del principio (derivante dal diritto generale dei contratti) di buona fede e correttezza quanto al controllo dell’atto di autonomia ed al governo dei rimedi. Oltre all’autonomia privata e alla forza di legge, la buona fede è l’elemento caratterizzante il moderno contratto europeo, che meglio sopravvive all’impatto dei nuovi paradigmi e che può riguardare i diversi livelli di ‘debolezza’ emersi dalle trasformazioni registrate in tale ambito nel corso degli ultimi decenni.

Economia e diritto sono in un rapporto di necessaria interdipendenza, accomunati dalla identità del fine consistente nel perseguimento dell’utilità sociale, per cui il potere normativo dell’impresa è accompagnato da misure di razionalizzazione e da correttivi volti a trovare o a costruire un punto di equilibrio tra le necessità di produzione e di consumo. Nella fattispecie il mezzo usato dal potere forte per scegliersi il foro a lui più conveniente rappresenta l’esempio più cristallino dell’abuso del potere contrattuale in una situazione di forza contrattuale.