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BANCHE E IUS VARIANDI: LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE DETTA I PRESUPPOSTI PER LA SUA APPLICAZIONE
La Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n. 511 pubblicata il 18.07.2019, è intervenuta sulla questione della legittimità o meno da parte della Banca dell’applicazione, in un rapporto di conto corrente con apertura di credito, di un tasso debitore intrafido diverso da quello pattuito, e quindi sulla legittimità o meno dell’uso da parte della Banca dello ius variandi, da cui è dipeso detta diversa applicazione.
A detta della Corte, a norma dell’art. 118 TUB, ogni variazione unilaterale da parte della Banca del tasso debitore – nel caso intrafido – sottoscritto con il Cliente nell’originario contratto (o in successiva apposita variazione) deve essere necessariamente assistita da un giustificato motivo, e di essa deve darsi espressa comunicazione scritta al Cliente con la formula “Proposta di modifica unilaterale del contratto” con un preavviso di almeno due mesi e dandogli facoltà di recedere dal contratto entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione medesima, con il diritto, in tal caso, di mantenere le vecchie condizioni contrattuali. Nella fattispecie decisa dalla Corte difettava sia il giustificato motivo che aveva legittimato la Banca a variare il tasso, sia la prova, da fornire anche mediante presunzioni, dell’effettivo ricevimento da parte del Cliente del preavviso dell’operatività di una tale variazione.
Peraltro è noto che nella casistica delle decisioni della giurisprudenza di merito e dell’Arbitro Bancario Finanziario, in relazione al contenuto minimo della nozione di “giustificato motivo”, questa deve intendersi nel senso di ricomprendere gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario.
Tali eventi possono essere quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito), e quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.).
La dottrina che si è occupata ex professo della questione ha precisato che, quanto ai giustificati motivi soggettivi, le modifiche ad personam, devono per forza trovare la loro giustificazione fuori dalla misura di serialità, e quindi all’interno delle specificità del concreto rapporto rispetto al quale vengono predicate.
Ne segue che, se viene adottato un motivo per sé atto a giustificare una variazione ad personam, lo stesso non può in concreto sorreggere una variazione generale. Non meno ne deriva la reciproca: un motivo per sé riferibile a una variazione categoriale non giustifica una modificazione che sia solo ad personam.
Ove il motivo in concreto indicato da una banca attenga a un profilo seriale del servizio, quindi, la modifica non può diventare efficace se si intenda applicarla solo a singoli e isolati rapporti: lo impedisce, se non altro, il canone della buona fede oggettiva, sub specie di regola della parità di trattamento. E al criterio della buona fede contrattuale si è ispirata la Suprema Corte in una lontana ma efficace sentenza (Cass. 3 febbraio 1994 n. 1091), che ha precisato che la correttezza formale dell’esercizio di un diritto o una facoltà contrattuale viola il principio della buona fede se viene in contrasto con lo scopo effettivo perseguito dalle parti.
In conclusione, l’istituto dello ius variandi, che non è esclusivo del diritto bancario, ha la funzione di garanzia nella misura in cui il suo uso garantisce gli interessi generali, che vengono preservati anche dalle iniziative individuali, in favore della utilità sociale che diviene a sua volta indice del giudizio di meritevolezza degli interessi delle parti.
Il rispetto delle formalità poste a tutela del soggetto che subisce la modifica unilaterale assume una funzione indefettibile perché lo ius variandi limiti il proprio ambito di competenza a garantire un equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni in gioco, equilibrio che inevitabilmente conferma quelli che sono gli interessi delle parti giunte alla conclusione di un accordo e che si possono sintetizzare nella causa (in concreto) del contratto.